Amato Kosovo

L’allarme è della Commissione internazionale indipendente sui Balcani, guidata da Giuliano Amato, che ieri ha presentato a Roma un rapporto – già proposto a Bruxelles il 12 aprile scorso – sul Kosovo, ancora dal punto di vista del diritto internazionale regione della Serbia della quale però la leadership albanese-kosovara dopo la «vittoria» della Nato nel 1999, chiede l’indipendenza subito. Eccolo: gli incidenti del marzo 2004 – i pogrom antiserbi – rappresentano «il più forte segnale che la situazione può ancora esplodere» in Kosovo. Lì è sempre stato marzo, fin dal giugno-luglio 1999, dopo la pace di Kumanovo, con migliaia di serbi e rom uccisi e desaparecidos, con 200.000 serbi cacciati, con 150 monasteri e chiese ortodosse distrute per riscrivere la storia della presenza culturale nella regione contesa. Ma di questa «continuità» sanguinosa il rapporto di Amato non fa menzione. Però l’accusa non è meno cogente perché «la comunità internazionale ha chiaramente fallito nei suoi sforzi di portare sicurezza e sviluppo nella provincia», perché un Kosovo multietnico semplicemente «non esiste» e l’amministrazione Unmik-Onu «ha avuto diverse occasioni di essere attiva nella ricerca di una politica che potesse interrompere le discriminazioni in Kosovo», ma ciò non è avvenuto e anche se «il fallimento dell’azione dell’Unmik può essere spiegato non può però essere tollerato». Infatti ancora oggi i serbi del Kosovo «vivono imprigionati nelle loro enclave senza libertà di movimento, senza lavoro e senza nessuna speranza di una piena integrazione nella società del Kosovo». Per il rapporto ora la posizione della minoranza serba in Kosovo sarà l’indicatore principale «della volontà e dell’abilità dell’Europa di applicare sul terreno i propri valori». A partire dal fatto che la maggioranza albanese del Kosovo «deve ricevere un chiaro messaggio che l’uso della violenza è il peggiore nemico dei loro sogni di indipendenza» da Belgrado. Accuse così esplicite raramente sono emerse. Ricordiamo solo il Consiglio di sicurezza Onu del dicembre 1999 che accusava di «contropulizia etnica» la maggioranza albanese kosovara con le «vittime diventate carnefici». Manca il domandarsi una volta per tutte a che cosa sia servita l’infausta guerra di bombardamenti aerei che per 78 giorni devastò l’ex Jugoslavia. E si approfitta per scaricare ogni colpa sulla sola Onu-Unmik – che certo ha gravi responsabilità -, dimenticando quelle della Nato che in questi sei anni è stata a chiudere gli occhi sulla nuova pulizia etnica a danno dei serbi. Ma l’accusa è grave e pesante.

Ne dovrebbe conseguire un discorso alternativo all’indipendenza e un punto di vista autocritico sui Balcani, devastati dalle guerre etniche e dai nazionalismi, ma anche dai riconoscimenti avviati dall’Europa nel 1991-1992 di indipendenze autoproclamate sulla base di ragioni etniche. Invece no. Il rapporto avvia una incerta road map in quattro punti verso l’indipendenza del Kosovo, pure riconoscendo che non risolverebbe tutti i problemi territoriali dell’area – li aggraverà infatti in Bosnia e in Macedonia dove, a quel punto, esploderanno le minoranze serbe, croate e albanesi per le «loro» indipendenze. E pur temendo che l’indipendenza venga «imposta a Belgrado» anche perché, dice il rapporto, «Cina e Russia in Consiglio di sicurezza Onu sarebbero molto contrari». E va detto subito che, mentre Rugova insisteva a Pristina sull’indipendenza, a Belgrado il filoccidentale presidente Boris Tadic, intervistato dal Corriere della Sera, ribadiva a nome davvero di tutta la Serbia: «No all’indipendenza».

Ecco dunque le quattro tappe per l’indipendenza del Kosovo: primo, accettazione della separazione di fatto; secondo, indipendenza senza sovranità, che nel 2005-6 vedrebbe il Kosovo riconosciuto come entità indipendente, con il protettorato che dall’Onu passerebbe all’Ue, il ritorno dei rifugiati e i diritti di proprietà, più un accordo speciale per Mitrovica e incentivi alle enclave serbe; terzo, lo status di candidato all’adesione e negoziati con Bruxelles; quarto, assorbimento nell’Ue.

I negoziati sullo status del Kosovo dovrebbero iniziare entro l’estate. Il rapporto di Amato fotografa l’esistente. Ma mette la diapositiva sulla pietra tombale dei Balcani.