Bastone e carota. Un giorno ti voglio sequestrare i documenti e quello dopo, quando sei già in aeroporto, scrivo un comunicato ufficiale per dire quanto mi dispiace che te ne vai e quanto rispetto il tuo lavoro. Il tutto mentre l’Italia sta a guardare. Le parole del governo Karzai a favore di Emergency stonano all’orecchio di Gino Strada e dei suoi, tanto più perché pronunciate ieri, nel giorno in cui il personale dell’ong ha fatto le valige per volare verso casa: «Il ministro degli Esteri afghano ci chiede di ripensarci e di rimanere, e perché dovremmo? Attratti dalle buone parole ma accolti da cattive azioni?» hanno risposto.
L’ultimo episodio, quello che ha convinto il personale di Emergency ad abbandonare una terra in cui è riuscito a sopravvivere persino sotto i bombardamenti, è datato mercoledì 25 aprile. Alcuni funzionari della polizia afghana si sono presentati alla porta dell’ospedale di Kabul «intimando», scrive Peacereporter, «allo staff internazionale presente (tre cittadini italiani, un belga ed un cittadino elvetico» di «consegnare i passaporti. La consegna è stata rifiutata».
Non si capisce cosa volessero questi poliziotti. All’ambasciatore italiano Ettore Sequi fonti diplomatiche hanno spiegato che era un «normale controllo di polizia» e che a nessuno era venuto in mente di prendere i documenti degli «amici» di Emergency. I rappresentanti dell’organizzazione umanitaria che in quell’ospedale ci vivono e da tempo, e quindi di poliziotti afghani ne hanno visti tanti, hanno avuto tutt’altra impressione.
Da ieri tutti gli ospedali dell’organizzazione umanitaria sono chiusi e tutti i pazienti sono stati stati dimessi o trasferiti in altre strutture sanitarie. Chiusa la struttura nel Panjshir, via quello di Kabul e sbarrato a doppia mandata pure l’ospedale di Lashkargah, quello a due passi dalle bombe dell’Helmand che un mese fa aveva visto tornare a casa Mastrogiacomo, prima era servito per riprenderci il fotoreporter anglo pugliese Gabriele Torsello e prima, durante e dopo, era stato il piccolo faro indipendente per buttare un occhio alla zona dei bombardamenti e sapere cosa accade in quella guerra che il parlamento italiano appoggia ma vorrebbe dimenticare: «Dentro abbiamo lasciato tutta l’attrezzatura medica. Il personale afgano dei tre ospedali, 1.200 persone in tutto, è stato mandato a casa, con salario garantito fino a fine maggio. Per sicurezza abbiamo lasciato solo le nostre guardie a sorvegliare le strutture e alcune decine di persone a far la guardia fuori dagli edifici e a fare le pulizie all’interno. Tutto questo perché vogliamo essere nelle condizioni di riaprire e riprendere l’attività in ogni momento», racconta Gino Strada sul sito di Peacereporter.
Il punto, ovviamente, è l’arresto di Rahmatullah Hanefi, il mediatore che ha riportato a casa l’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo e che per tutta risposta è stato arrestato dai servizi segreti afghani con l’accusa, mai messa nero su bianco, di aver aiutato i talebani a prendere l’interprete Adjmal, collaborando dunque al suo omicidio. Di lui al momento si sa poco. Le fonti della Farnesina assicurano che nei prossimi giorni le accuse contro di lui saranno formalizzate e che si occuperanno di fargli avere un processo con tutte le garanzie del caso.
Troppo poco per Emergency, che un mese fa ha risposto alla richiesta d’aiuto del nostro ministero degli Esteri e che oggi si sente trattata come, o forse peggio, di una qualunque altra organizzazione umanitaria: «Il governo italiano – scrivono – ha volutamente trascurato i fatti che con ogni evidenza tendevano a questo esito». Un brutto atto di accusa contro la politica estera italiana e contro il modo in cui il governo Prodi ha gestito il caso Mastrogiacomo cui però quasi nessun rappresentante del governo si sente di rispondere. Lo fa Patrizia Sentinelli, sottosegretario in quota Prc, che con Emergency ha sempre avuto un buon rapporto e che il 2 maggio volerà a Khartoum per l’inaugurazione di un nuovo ospedale firmato Gino Strada: «Capisco il loro umore, credo che il governo italiano debba fare un ulteriore passo. Penso che dobbiamo prendere spunto dalle dichiarazioni del governo di Kabul per aprire un nuovo fronte e fare quello che è in nostro potere per liberare Hanefi». Il resto del governo parla a fatica, il sottosegretario agli Esteri Gianni Vernetti dice che «Hanefi avrà un processo regolare» ma aggiunge «non c’è dubbio che l’Italia abbia fatto per lui e per Emergency tutto quello che era in suo potere».
Gino Strada vorrebbe tornare lì, sotto le bombe magari, ma tenere duro nell’ospedale che per anni ha tenuto aperto contro contro Karzai, contro i talebani e un po’ anche contro l’Italia: «Ma poniamo delle condizioni. Il presupposto minimo, ma anche quello più difficile da ottenere, è la liberazione di Rahmatullah Hanefi. La seconda è che vengano garantite condizioni di sicurezza a tutto il nostro staff, in maniera chiara: non ci bastano le belle parole che arrivano in queste ore da alcuni ministeri afgani. Ormai siamo abituati alla doppiezza delle autorità afgane. Ci vogliono i fatti».