Altre 4 morti bianche all’Ilva il brutto primato

Vito, 33 anni, operaio del reparto tubificio 2 dello stabilimento siderurgico dell’Ilva di Taranto, è morto due giorni fa. Schiacciato mentre cercava di sbloccare una macchina cianfrinatrice. Cosimo, 43 anni, operaio del reparto acciaieria 1 dell’ormai tristemente nota Ilva di Taranto, è rimasto gravemente ferito ieri. Precipitato da una botola profonda 5 metri su un montacarichi pieno di ferro: la copertura della botola, flessibile anziché rigida, non era in sicurezza. Antonino, 28 anni, operaio della ditta Bluemme di Patti (Messina), è morto ieri all’istante. Fulminato da una scarica elettrica mentre effettuava lavori di manutenzione dell’impianto elettrico di una piscina. Romolo, 61 anni, agricoltore in pensione di Albareto di Modena, è deceduto l’altro ieri all’ospedale di Baggiovara. Schiacciato dal trattore che stava guidando, che ha poi preso fuoco ustionandolo.
I numeri sono quelli di una vera e propria guerra civile: oltre 4 morti al giorno sul posto di lavoro. E dietro alle cifre, in questa come in ogni strage, ci sono nomi, storie, vittime e carnefici. «Ogni giorno si viene a sapere dei tanti incidenti, spesso mortali, che macchiano la civiltà del lavoro italiano», dichiara Giovanni Battafarano. Secondo il responsabile della segreteria tecnica del Ministro del Lavoro «buone leggi non mancano, ma altro si può fare, a partire dal Testo Unico sulla sicurezza del lavoro, cui si sta provvedendo». E altro «si deve fare» secondo Alberto Burgio, deputato di Rifondazione comunista alla commissione lavoro della Camera, che vede come «un’urgenza non differibile l’assunzione di provvedimenti che si affianchino a quelli già varati con la manovrina».

Mentre la Fiom, che si costituirà parte civile in tutti i procedimenti in corso contro l’Ilva, afferma che ad essere sotto accusa sono «l’intero regime di fabbrica, il suo funzionamento, l’autoritarismo aziendale, l’inosservanza delle norme di sicurezza». E annuncia inoltre il suo sostegno a tutte le iniziative di lotta delle organizzazioni sindacali tarantine, tra cui le assemblee e lo sciopero di una settimana, deciso ieri, che partirà tra due lunedì alternandosi in tutti i reparti di quella che è una delle più grandi aziende europee. «Più grande, oltre che per i 14mila dipendenti, anche in fatto di inquinamento da polveri sottili, numero di casi di tumore tra gli operai e morti sul lavoro. 31 vittime dal ’93 a oggi. Sembra quasi una tassa da pagare», dice Francesco Rizzo della Fiom, ex-operaio dell’Ilva più volte minacciato per le sue attività sindacali all’interno dell’azienda (nota anche per i sommari licenziamenti degli infortunati). «L’Ilva è arrivata a dare un assegno annuale di 100 euro da spendere in articolo sportivi agli operai che non dichiarano infortuni. Una beffa se si considera che sul versante sicurezza non si fa nulla né da parte dell’azienda, né delle istituzioni, né dei partiti. Lo stesso Vendola, che ha accettato di sedersi allo stesso tavolo col responsabile Ilva Emilio Riva – che invece si è sempre rifiutato ultimamente di parlare con noi – non ha fatto nulla per noi. E la situazione in fabbrica è arrivata a una tensione insopportabile». Molte persone non denunciano gli infortuni per paura, a causa delle minacce e delle forti pressioni che subiscono. Inoltre l’Inail contesta l’80% dei casi, per non parlare del direttore generale De Biase, per cui il 30% degli incidenti dichiarati è falso. Ultima invenzione dell’azienda: a chi non dichiara un incidente, in omaggio, una settimana di ferie… del resto, sempre secondo l’Inail, la maggior parte degli incidenti è dovuta a scarsa attenzione da parte dell’operaio. Quando si dice “oltre il danno”. «E, mentre il livello di sicurezza scende e le morti aumentano, l’Ilva vuole aprire un altro stabilimento qui». E, come si suol dire in questi casi, avanti il prossimo…