Alta Velocità o Alta Voracità?

Che cos’è un «instant book»? Un libro fabbricato in poche settimane, talora in pochi giorni, sfruttando un «caso», un’emergenza di varia natura, l’improvvisa popolarità di una persona divenuta, per qualsivoglia circostanza, «personaggio». I media sono generatori di libri istantanei, occasionali, quasi vuoti a perdere che sfruttano effimere mode, gusti improvvisi e imprevisti, umori e amori destinati a svanire nell’«espace d’un matin». Eppure, a ben pensarci, un instant book può anche essere un veicolo di idee, e suscitare discussioni vere, in tempo quasi reale. In qualche caso, attraverso un piccolo libro (gli instant book sono, per loro natura, di mole contenuta) si possono far circolare documenti, analisi, proposte, elementi utili al dibattito pubblico. È il caso di un libretto in uscita da Odradek di Roma, un editore che cerca di coniugare la militanza con la conoscenza. Il volume in questione ne è un eccellente esempio.
Se dico che si tratta di un libro «contro» l’Alta Velocità (o ciò che così viene etichettata), rischio di scoraggiare i lettori che sono o ritengono di essere favorevoli. E in effetti sarebbe riduttivo definirlo, semplicemente, un libro «contro», anche se il titolo (Travolti dall’Alta Voracità, a cura di Claudio Cancelli, Giuseppe Sergi e Massimo Zucchetti), e la copertina con le fauci spalancate di uno squalo che ingurgita banconote insieme con vetture ferroviarie, ci svela l’orientamento dei suoi autori. Siamo in reatà davanti a un ragguardevole sforzo di informare, condotto da esperti di varia formazione: contro il chiacchiericcio mediatico, contro l’opinionismo dettato da schieramenti politici, contro il talk show, ecco che fisici, economisti, chimici, climatologi, geologi, esperti di impiantistica, sociologi, politologi, storici ci forniscono una serie di dati di enorme interesse, per capire in ogni suo aspetto i problemi inerenti la spinosissima questione della Val di Susa e del famoso «corridoio», che da Torino dovrebbe condurre a Lione, inserendosi sulla direttrice europea Ovest-Est.
La battaglia politica e mediatica, ma anche militare – come non ricordare l’aggressione nella notte tra il 5 e il 6 dicembre da parte delle «forze dell’ordine» agli inermi e dormienti manifestanti nel campo di Venaus? -, ha suscitato forti passioni, troppo spesso pregiudiziali, da schieramento, o meglio da opposte tifoserie: il partito dei «pro» e quello dei «contro». Sono mancati gli elementi fattuali, quantitativi, i dati numerici, relativi ai costi economici, ambientali, alle tonnellate vere o presunte di traffico, ai vantaggi e svantaggi del trasporto merci e persone su gomma e su rotaia, soprattutto, ai preventivi di spesa (lievitati ormai di oltre il 300%) dell’opera e ai suoi attesi ricavi. Bene, ora questo libretto che ha i limiti di una redazione «veloce» – come d’altronde si conviene al tema – rimette i dati al centro dell’attenzione. Certo, alcuni interventi hanno un tono esacerbato, e assai polemico, ma la forza dei dati è dirompente, inoppugnabile.
In definitiva tra domande rimaste inevase e dati davanti ai quali le autorità tacciono, si ricava che non è in gioco la sindrome Nimby («not in backyard», non nel mio giardino): altro che levata di scudi localistica, o atteggiamento «antimoderno»! Qui vengono posti in modo chiaro una serie di interrogativi (si veda l’intervento di Luciano Gallino, il quale si definisce «tendenziale pro Tav» e con la pacatezza raziocinante del suo discorrere individua le domande elementari rimaste inevase). A esse il futuro governo, quale che sia, e gli amministratori locali, dovranno dare risposte altrettanto limpide. Perché finora sulla Tav è mancata innanzitutto la trasparenza. Se democrazia, come ci ha insegnato Bobbio, è un sistema fondato sulla visibilità del potere e dei processi decisionali, sulla Tav il difetto è nel manico: nessun dato, nessuna informazione precisa, anzi – come il libro dimostra, ricorrendo alle fonti ufficiali, nazionali ed europee – il progetto, che riguarda non solo la Val di Susa, ma la Torino-Venezia, la Milano-Napoli, la Napoli-Reggio Calabria…, si è fondato su disinformazione, silenzi e bugie clamorose.
Un groviglio di sigle create ad hoc, articoli di legge cancellati o modificati a piacimento di ministri ultrasospettabili di interessi privati, una generale connivenza, transitata dal centrodestra al centrosinstra e ritorno, con qualche lodevole eccezione (per esempio Claudio Burlando ministro dei Trasporti nel ’96, con Prodi, che denunciò gli ingiustificati aumenti dei costi, o il commissario delle Ferrovie dello Stato Franco Reviglio, o l’amministratore Mario Schimberni, che cercarono di bloccare un progetto rivelatosi antieconomico). Tutto sembra dimostrare, leggi e conti alla mano, che la decantata Tav è una vera e propria «bufala», fatta, per giunta, nell’esclusivo interesse delle potenti lobby dei costruttori, sospetti a loro volta di inquinamenti mafiosi, e all’insegna dell’antico motto: privatizzazione dei profitti, socializzazione delle perdite. Qui i privati, cui vanno tutti i ricavi, non mettono a rischio un euro, mentre il pubblico si assume gli oneri futuri.
I numeri dimostrano insomma l’insostenibilità finanziaria del progetto, che, in spregio di qualsiasi igiene amministrativa e rigore contabile, vede coinvolte decine di ditte in un’operazione che, stando così le cose, appare tutta al limite e talora oltre i limiti non solo, spesso, della legalità, ma del buon senso. Ivan Cicconi (autore di un documentato libro su Le grandi opere del Cavaliere, ed. Koiné), conclude così la sua analisi dei costi/benefici (da cui risulta che per sostenere le spese della Tav saremmo costretti a una manovra finanziaria annua di circa 1,6 miliardi di euro, per almeno 30 anni!): «L’Alta Velocità, si dice, è necessaria per collegare l’Italia all’Europa. Si sappia, comunque, che con questo progetto e con questa architettura contrattuale e finanziaria, si porterebbe in Europa uno Stato in bancarotta». Romano Prodi ha detto: «Occorre separare politica e affari». La Tav può essere un eccellente banco di prova. Da questo libro arriva un invito a farlo, e a studiare, in modo serio, costi reali e benefici asseriti di un’opera le cui ombre ormai sono diventate ingombranti, chiunque avrà il compito di dirigere la cosa pubblica nel prossimo quinquennio.