All’orizzonte della sinistra una sfida chiamata Europa

Non c’è bisogno di scomodare Spinoza per dirci che attraversiamo una lunga stagione di «passioni tristi» e per aggiungere che anche le speranze europeiste (di quasi tutti i colori) si sono piuttosto afflosciate. Non solo, ma anche per tutto ciò, questo libro di Fausto Bertinotti e Alfonso Gianni (un dialogo fitto e sempre problematico) risulta particolarmente utile, utile nel senso del vecchio Brecht delle «Storie di ME-TI». Il senso e l’obiettivo del libro sono dichiarati nel titolo e nell’audace fotomontaggio di copertina. Contro le «passioni tristi l’Europa delle passioni forti» con la famosa immagine del soldato sovietico che sventola la bandiera rossa sul tetto del Reichstag, solo che nella nostra copertina il soldatino impugna la bandiera d’Europa. Morale della favola: se vogliamo un’Europa che controbilanci il monopolarismo Usa e che sia dei popoli e non delle multinazionali ci vuole un grande investimento di idee e di lotte. Sempre per stare all’iconografia, mi viene da aggiungere che la situazione presente potrebbe però essere rappresentata da uno dei tanti dipinti sul «Ratto d’Europa»: una donna bellissima e un po’ discinta trascinata dal potentissimo Giove, che ha assunto le sembianze di un grosso toro. Ma il libro non si ferma alla copertina: si articola in cinque densi e problematici capitoli, corredati dalle «note» preziose di Alfonso Gianni, e da appendici di particolare interesse, che comprendono il testo completo dell’appello di Ventotene per un’Europa libera e unità», quella dell’agosto del 1941 firmato da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Innanzitutto, ci si chiede nel libro, che cosa è l’Europa, quale la sua effettiva identità storica e culturale? Senza fermarsi alla contestazione delle «radici cristiane», che non vengono negate, ma immesse in quel crogiuolo di formazione culturale che è stata l’Europa, tale che – è un accenno di Bertinotti – la sovrastruttura ha agito sulla struttura, quasi a dire che l’Europa non è riducibile ai suoi rapporti di produzione. E Bertinotti, a proposito di radici, anche qui ribadisce la sua passione per «il salto della tigre» dell’amato Benjamin.

Ma che quali sono, oggi, le effettive potenzialità dell’Europa e la sua identità? Qui, a mio parere, il giudizio dei due autori è piuttosto negativo. Non condividono l’ipotesi di Rifkin, quella di un modello europeo, più sociale di quello americano. Rifkin – scrivono – è ancora legato a un passato, all’Europa del «compromesso democratico», che fu un prodotto della seconda guerra mondiale. L’attacco al welfare europeo costruito nel secondo dopoguerra è sotto gli occhi di tutti e ora c’è piuttosto una americanizzazione dell’Europa, un’Europa peraltro indebolita dallo spostamento a est del baricentro dell’economia mondiale. Tutto questo risulta aggravato dal trattato europeo e dagli accordi di Maastricht. La normativa europea è tutta orientata al mercato e non alla società. E, tuttavia, questa normativa (per esempio i parametri di Maastricht) fa acqua da tutte le parti, il rallentamento dell’economia costringe gli stati nazionali a superare le soglie di deficit consentite dalla UE e a tagliare ulteriormente la spesa sociale.

Questa Europa appare sempre meno desiderabile e il no della Francia (molto diverso da quello dell’Olanda) mette in evidenza non solo il rifiuto da parte del mondo del lavoro, ma anche di larghi strati popolari, che Fausto Bertinotti definisce come «nuova plebe», il mondo del ceto medio impoverito e del precariato. Ma – e non è di poco peso – tutto questo malessere non diventa ancora volontà politica, quella che si esprime nei partiti, nei giornali; e anche nei sindacati è diviso. Diviso tra chi (Giuliano Amato per esempio) sostiene che l’obiettivo primario, irrinunciabile, è l’unità europea e, quindi, bisogna aver pazienza sulle cose che non vanno e chi invece come la maggioranza dei francesi (ma in Francia c’è stata una grave divisione dei socialisti) dice no. Tuttavia – sostengono nelle conclusioni i due autori – non bisogna rinunciare all’obiettivo dell’unità europea, come condizione necessaria per una politica di pace e un nuovo welfare.

Questa è la sfida per tutte le sinistre europee e in particolare per il partito della sinistra europea che il problema Europa ha posto al centro del suo congresso ad Atene. Vedremo. Come si dice: «se sono rose fioriranno».