E Woody scoprì Scarlett Johannson, ‘diva tridimensionale’ – ‘Le storie che racconto sono sempre le stesse Ma gli attori giusti le rendono differenti’
Arriva negli Stati Uniti giusto in tempo per le candidature all’ Oscar, il 28 dicembre: “Match Point”, il dramma di Woody Allen che aveva debuttato con grande successo a Cannes, ambientato e girato interamente a Londra. Scritto e diretto da Allen, che non appare nel film, “Match Point” può esser definito uno studio sulle possibilità della fortuna («Colui che ha detto, “meglio esser fortunati che buoni”, ha capito tutto della vita», avverte Woody Allen, attraverso una voce fori campo, all’ inizio del film). «Il pensiero di non avere un pieno controllo sulle nostre vite mette i brividi», dice Allen, 70 anni da compiere l’ 1 dicembre. «Ho usato la metafora tennistica pensando alla palla che colpisce il nastro e per una frazione di secondo non sai se cadrà da una parte o l’ altra della rete, che cambierà le sorti del match». Il cast, a parte l’ americana Scarlett Johannson, è interamente britannico: Jonathan Rhys Meyers interpreta un ex giocatore di tennis che sposa la sorella (Emily Mortimer) del suo amico ricco (Matthew Goode). Ma la sua attrazione fatale per la fidanzata dell’ amico lo costringe a una difficile scelta – perfino tragica – tra le due donne. Woody Allen è appena tornato a New York dall’ Inghilterra dopo aver girato il secondo film londinese, “Scoop” (il suo 36° come regista e sceneggiatore), una commedia sullo sfondo del giornalismo. Qui Allen è anche attore, accanto alla Johansson, Hugh Jackman e Ian McShane. Mister Allen, il protagonista in “Match Point” compie un crimine e la fa franca, proprio come Martin Landau in “Crimini e misfatti”. Perchè? «Perchè spesso succede nella vita. E’ necessario avere un attore piacevole, come lo è questo Jonathan Rhys: nonostante faccia cose tremende continua a piacerti. Sarebbe stato diverso se avessi scritturato Robert De Niro o un Jack Nicholson, che hanno personalità intrinsiche diverse. Con uno come Jonathan ti viene da soffrire con lui. Come spesso ho detto, tutto sta nello scegliere l’ attore giusto. In fin dei conti le storie che racconto sono sempre le stesse. Sono loro che le rendono differenti». Quali sono dunque i temi ricorrenti nei suoi film, a suo avviso? «La paranoia dell’ ebreo metroplitano e il sollievo fornito dall’ amore o dall’ arte». A lei l’ arte da’ sollievo? «In parte, perchè mi piace molto l’ atto creativo, per esempio la stesura del copione è per me il momento più piacevole del fare cinema. Non mi piace il set, a stento parlo con gli attori o la troupe». Quale ritiene sia il suo migliore film? «Nessuno. Oddio, ho fatto dei film decenti, ma non a livello di “8 e mezzo, “Il settimo sigillo”, “I 400 colpi”, “L’ avventura”, film che proclamano il cinema come arte. A me il capolavoro è sempre sfuggito, e oramai credo sia troppo tardi. Mi do’ un sette meno, una sufficienza abbondante, ma niente di più». Cosa vede in Scarlett Johansson? «Per “Match Point” volevo Kate Winslet, anche perchè erroneamente pensavo dovessi assumere solo attori inglesi per questioni sindacali. Ma poco prima di girare lei mi ha chiamato dicendomi che era esausta e voleva passare più tempo con suo figlio. Quindi ho pensato a Scarlett. L’ avevo vista in “Lost in Translation” e “Ghost World”, mi sembra molto bella, sexy, interessante sullo schermo. Si è rivelata un’ attrice meravigliosa, un’ autentica nuova forza del cinema, una diva con profondità, davvero tridimensionale. Ed è così giovane!». Prima di “Match Point”, che sta piacendo moltissimo, qualche critico l’ avveva accusata di aver perso contatto con la vita e le istanze culturali di oggi. Come risponde? «Forse ha ragione. Faccio una vita molto appartata. Scrivo, sto coi bambini (ha due figli adottati con la moglie Soon-Yi, 35 anni più giovane di lui. ndr.&, suono il clarinetto, guardo una partita di basket in tv e vado a letto. Non ho mai fatto uso di droghe in vita mia, lo dico come esempio della mia mancanza di curiosità per tante cose. E’ una sintomatologia di una lieve forma di depressione, non di quelle che ti mandano all’ ospedale o ti rendono suicida, ma così, una mezza depressione. Il mio psicanalista, quando ancora ci andavo, una volta mi disse: “Quando lei venne da me pensai che mi sarei divertito da matti con lei, che sarebbe stata una terapia affascinante: invece mi duole dirle che lei è un paziente noiosissimo». Si avvicina per lei un compleanno, 70 anni. Che effetto le fa? «Per niente positivo: non c’ è nessun vantaggio nell’ invecchiare. Io sono fortunato perchè ho ancora abbastanza energia, ma comincio ad essere un po’ duro di orecchi, pian piano ti disintegri: non diventi più saggio, non capisci improvvisamente la vita. Niente del genere. Succede solo che le ossa ti fanno male. E’ inevitabile». Eppure continua a fare un film all’ anno, a lavorare. Sente di essere stato fortunato nella sua vita? «Estremamente fortunato. Innanzitutto sono nato con un certo livello di talento per la scrittura, senza il quale non so cosa avrei fatto. I miei genitori hanno vissuto vite lunghe e sane, mio padre è morto poco dopo i 100 anni, mia madre ne aveva 95. Sono stato fortunato con la mia carriera: all’ inizio i critici hanno notato le cose positive del mio lavoro ignorando le cattive. Faccio una vita sana, mangio bene, vado a letto presto, spero di avere una buona disposizione genetica, quindi dovrei riuscire a fare film fino a quando qualcuno me li finanzierà».