A Palazzo Chigi non credono nella scaramanzia. La scelta di annunciare che «nell’arco di tre settimane» il governo «metterà a punto un provvedimento contro la criminalità organizzata» ha infatti precedenti tali da apparire una scommessa un tantino azzardata. Intendiamoci: che sia necessario un giro di vite non lo dicono solo le opposizioni. Ma i dati dello stesso ministero dell’Interno.
Certo, contrariamente alla percezione di molti e agli strilli di chi per mestiere cavalca la tigre della paura, gli omicidi sono in calo da anni. E se è vero che nel 2006 sono leggermente cresciuti (più 20) rispetto al record assoluto del 2005, quando vennero registrate solo 601 persone ammazzate, si tratta comunque non solo del secondo risultato migliore di tutta la storia italiana (un terzo di quelli del 1991, un quarto di quelli del 1981, addirittura un sesto del 1951 in rapporto alla popolazione) ma anche di un passaggio storico. Gli omicidi causati dalla criminalità organizzata, che sono stati 121 (contro 192 causati da odio tutto interno alla famiglia) rappresentano infatti il dato «più basso da decenni»: quasi un terzo rispetto al 1992.
Detto questo, però, è lo stesso dicastero di Amato a sottolineare che dopo una folle impennata «nel corso degli anni Settanta» e una successiva risacca, «il tasso di rapine è oggi una volta e mezza quello del 1991, due volte e mezzo quello del 1984, 18 volte quello del 1970». Negare o irridere alla percezione di insicurezza della popolazione, come sembra tentato di fare un pezzo della sinistra, è non solo sbagliato e offensivo per chi avverte la sensazione del pericolo: è suicida. Un conto è il sacrosanto rispetto delle culture altrui, per fare un esempio, un altro sbuffare davanti a chi si pone un problema che è anche dei cittadini prodiani: cosa fare in casi come quello di Lila Dragutìnov (ammesso si chiami così) che è arrivata a dare in 205 arresti 205 nomi differenti o della nigeriana Edith Nduonofit Chinyere, fermata 15 volte per traffico e sfruttamento della prostituzione e ogni volta registrata con generalità diverse?
Prima d’ogni altra mossa, comunque, a sinistra si mettano d’accordo. Perché non capiti più quanto è successo un sacco di volte davanti alle «emergenze». Con governi di destra e di centro e dì sinistra. Ma soprattutto perché non si ripeta il tormentone del «pacchetto giustizia» del penultimo governo ulivista. Un tormentone più lungo della telenovela sulla schiava Isaura. Lo annunciarono a metà gennaio 1999 («Tempi brevi per il varo di un “pacchetto sicurezza”. In una delle prossime riunioni il Consiglio dei ministri tradurrà le misure studiate in provvedimenti») e già due settimane dopo Oliviero Diliberto frenava: «Sono solo ipotesi su cui stiamo tutti ragionando».
Da quel momento fu un calvario. Risse intestine con Fausto Bertinotti che sparava: «Aumento della pena: ma dove l’ha imparata questa concezione il ministro della Giustizia? In che scuola? Ma quali aumenti se non si prendono i colpevoli? Lo sa il ministro della Giustizia che il 97% dei furti nelle abitazioni resta senza colpevole?». Appelli, come quello del ministro dell’Interno Rosa Russo Jervolino dopo l’uccisione di un gioielliere a Milano. Rassicurazioni. PromEsse: «La Commissione giustizia della Camera comincerà l’esame del “pacchetto sicurezza” martedì prossimo 27 luglio». Distinguo della destra, ostruzionismi, litigi. E rinvìi, rinvìi, rinvii. A ottobre, a dicembre, a febbraio, all’estate. Finché a metà novembre del 2000 Antonio Borrometi, responsabile per la sicurezza del Ppi, furente con Panorama, sentenziò: «Smentisco categoricamente che il pacchetto sicurezza starebbe naufragando». Passò infine, quel pacchetto, il 6 marzo 2001. Dopo due anni, un mese e venti giorni dall’annuncio. E meno male che era urgente.