La Fiom prosegue per la sua strada, ribadendo l’autonomia dei metalmeccanici Cgil pur restando saldamente ancorata nella confederazione. Autonomia vuol dire difesa della dialettica tra categorie e confederazione, qualcosa di più del diritto al dissenso e qualcosa di diverso dalla pura riproposizione del metodo del centralismo democratico, che presuppone l’omogeneità di tutti i gruppi dirigenti delle categorie e delle Camere del lavoro rispetto alla maggioranza congressuale della confederazione; autonomia vuol dire permettersi di pensarla diversamente rispetto alla maggioranza della Cgil, per esempio sulla manifestazione «gioiosa e pacifica» del 4 novembre contro la precarietà a cui la Fiom aveva aderito, senza accogliere l’appello confederale a prenderne le distanze. Il documento votato da 105 dirigenti, il 76% dei componenti il Comitato centrale che si è concluso ieri a Roma al termine di quasi cinquanta appassionati interventi, rivendica quella partecipazione e ribadisce, nella sostanza, l’autonomia della Fiom. Nonché l’internità della categoria al movimento mondiale che si batte contro la globalizzazione neoliberista.
Il gruppo dirigente metalmeccanico è uscito rafforzato dal voto di ieri, mentre la minoranza non è riuscita a capitalizzare il sostegno esplicito arrivato con l’intervento del segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani: il documento presentato da Fausto Durante in contrapposizione a quello del segretario generale Gianni Rinaldini non è andato oltre i 26 voti, pari al 18,6% contro il 21% che la minoranza aveva raccolto in sede congressuale. 8 infine gli astenuti (5%).
Così la Fiom ha retto all’onda d’urto che da tempo si preparava per ridimensionare l’autonomia della battagliera categoria dei metalmeccanici, una categoria che da tempo mette in campo una pratica sindacale basata sulla democrazia nel rapporto con l’insieme dei lavoratori, e non soltanto di quelli che rappresenta direttamente. Una testa un voto vuol dire che ogni accordo o contratto per essere valido dev’essere sottoposto al voto dei diretti interessati. Da qui la critica alla Cgil sul Tfr e l’accettazione del criterio del silenzio-assenzo, o sull’avviso comune sui call center, decisi dai gruppi dirigenti di Cgil, Cisl e Uil; da qui la richiesta alla confederazione di presentarsi ai tavoli di gennaio con il governo e le associazioni imprenditoriali su precarietà e pensioni con una posizione unitaria e un mandato chiaro, votato dai lavoratori; da qui la richiesta di un’autonomia dai processi politici che annunciano una profonda ristrutturazione della sinistra italiana. Secondo Rinaldini, sarebbe un errore gravissimo se nella Fiom e nella Cgil le posizioni dei singoli sindacalisti dovessero rispondere o venissero identificate con questo o quell’agglomerato di sinistra – che siano il conflitto sulla nascita del Partito democratico, oppure le dinamiche interne a Rifondazione comunista e alla Sinistra europea. Ancora autonomia, dunque: dai padroni che vogliono sbaraccare i contratti nazionali e il regime degli orari, dal governo senza aggettivi («che non vuol dire indifferenza rispetto al contesto politico»), dai partiti di sinistra.
Continuità della linea politico-sindacale della Fiom, discontinuità richiesta al governo rispetto alle politiche economiche e alle priorità del passato. Il documento conclusivo ribadisce alcune critiche alla Finanziaria (pur non essendo come le precedenti fortemente classista) e alle sue dimensioni, nonché al taglio del cuneo fiscale.
Questi i punti centrali del documento finale che ha consolidato la maggioranza della Fiom e rafforzato il suo gruppo dirigente. Non c’è stata alcuna rottura tra Rinaldini e il «reprobo» Cremaschi, come forse qualcuno si sarebbe aspettato dopo il secco richiamo di Epifani per gli auguri alla riuscita dello sciopero dei sindacati di base («una dichiarazione di solidarietà personale e non di adesione allo sciopero extraconfederale», ha detto Cremaschi nel suo intervento). Augustin Breda, dell’area programmatica Lavoro e società ha presentato un emendamento in cui si diceva mai più con i Cobas, non accolto da Rinaldini. Di conseguenza, Breda ha annunciato che non avrebbe votato il documento di maggioranza e si è astenuto, insieme a una parte della sua area. Un’altra parte di Lavoro e società, invece, ha votato a favore del documento presentato dal segretario Gianni Rinaldini. Giorgio Cremaschi ha espresso una «forte soddisfazione per l’andamento del dibattito e per il documento approvato che afferma una piena continuità con la linea e la pratica politica adottate dalla Fiom in questi anni».
Per la minoranza, Durante ha preso invece nettamente le distanze da questa linea e da questa pratica, a partire dall’adesione al corteo del 4 novembre e proseguendo con il giudizio sulla Finanziaria del governo, decisamente più positivo nel suo documento, votato dal 18,6% dei presenti al Comitato centrale.
Il confronto tra Fiom e Cgil, che ha origini antiche e non inizia certo con l’avvento dell’era Prodi, continua. E’ questa la notizia positiva che esce dal Comitato centrale dei meccanici e come tale dovrebbe essere accolta dall’intero corpo della Cgil. Il dissenso, come ha detto Epifani nel suo intervento alla Fiom, è una ricchezza dell’organizzazione.