Il più sincero è stato Silvio Berlusconi che mercoledì ha mandato a dire: «non riesco a immaginare a chi possa interessare un’Alitalia così sindacalizzata». A nessuno, ovviamente: i sindacati sono un alibi per spingere al ribasso il prezzo della privatizzazione. La razza padrona italiana non brilla per generosità e i «capitani coraggiosi» ce la stanno mettendo tutta per far fallire la privatizzazione. Anzi, per farla fallire e basta come accadde per la Swiss Air per poi rilevarla con quattro lire e senza impegni per la difesa dell’occupazione. L’unico imprenditore che finora ha manifestato una certa disponibilità a rilevare Alitalia è stato Diego della Valle: «Alitalia è un grande marchio. Se un gruppo di imprenditori si vuole mettere insieme e ci sono le condizioni- ha dichiarato – io, perché no, mi metto in gioco volentieri pur sapendo che non è una operazione facile». Per un mister Tod’s interessato, da tutti gli altri possibili acquirenti sono arrivate smentite. I Benetton sono interessati a Alitalia? «Assolutamente no», ha risposto senza esitazioni il giovane Alessandro Benetton, presidente di 21 Investimenti al termine di una riunione della giunta della Confindustria. Poi per mitigare ha aggiunto: «Però bisognerebbe chiedere a Edizioni Holding e ai suoi vertici che io, in questo momento non rappresento». Insomma, la parola passa ai «grandi». I quali, però, da un po’ di tempo sono più interessati alle privatizzazioni delle autostrade, cioè a operare in regime di monopolio che misurarsi con la concorrenza. La cosa bizzarra è che ai Benetton capitali ne hanno in abbondanza: Autostrade aveva deliberato un extra dividendo da 2 miliardi di euro (per gran loro) che mercoledì è stato annullato. Ma i soldi ci sono. Anche perché gli investimenti sulle autostrade languono, tanto che l’Anas ha denunciato in sede civile la società per chiedere i danni del mancato ammodernamento della rete autostradale. «Il rifiuto dei Benetton potrebbe essere solo una mossa ben pensata», ci dice uno che conosce bene le cose di Autostrade. Poi aggiunge: «Alitalia potrebbe costituire una merce di scambio per realizzare la fusione di Autostrade con Abertis e far pace con l’Anas: è tutta questione di prezzo e di garanzie». Già, le garanzie. Intese, ovviamente, come garanzie che il governo deve dare a chi rileverà Alitalia e non quelle che il nuove proprietario darà al governo e ai lavoratori. Dopo che per anni gli imprenditori si sono lamentati che non c’erano abbastanza privatizzazioni, ora la privatizzazione di Alitalia fa paura. Le condizioni del governo per la privatizzazione di Alitalia non sono sufficienti per attrarre investitori italiani, ha sentenziato ieri Carlo De Benedetti. «Penso che sarebbe auspicabile che ci fossero le condizioni affinché un gruppo di imprenditori o investitori italiani possa consentire all’Italia di avere una compagnia aerea – ha spiegato – come hanno anche Paese più piccoli e con una vocazione turistica inferiore, ma ritengo che oggi, sulla base delle condizioni indicate dal Governo, queste non esistano». Dichiarazioni che hanno fatto pensare a un allontanamento dei tempi della vendita Alitalia, che ieri in Borsa ha perso più del 3%. E al termine della giornata, il Tesoro ha annunciato che sarà Merril Lynch l’advisor finanziario dell’operazione. I sindacati, invece, hanno confermato che oggi per 24 non si vola. Ma cosa chiedono gli imprenditori italiani per entrare nella partita? Per l’Ingegnere non sono sufficienti le aperture manifestate dal ministro dell’economia Padoa Schioppa: non basta promettere che lo stato non manterrà la golden share . «C’è un problema di discontinuità: o ci sarà la discontinuità o non credo che ci sarà alcun imprenditore disponibile». Discontinuità significa mano libera sull’occupazione. E su questo Padoa Schioppa non sembra insensibile, dato che mercoledì ha rilevato: «Le iniziative di contenimento del personale adottate dalla società negli ultimi 5 anni hanno portato l’organico a livelli sostanzialmente in linea con quelli di dieci anni fa». Ma anche 10 anni fa il personale Alitalia era considerato troppo e troppo caro. Come andrà a finire? E’ possibile che la nuova proprietà operi immediatamente una drastica riduzione del personale? Probabilmente no: «il modello che Padoa Schioppa sembra privilegiare – ci spiegano – è quelle della privatizzazione dell’Alfa Romeo: pochi soldi e a babbo morto contro la garanzia che nei primi due anni non ci sarebbero stati licenziamenti. Per questo l’Alfa fini alla Fiat anziché alla Ford». Ovviamente poi i licenziamenti ci furono e le 600 mila vetture l’anno promesse non sono state mai fabbricate. Di più: «l’acquisizione ideale per i nostri industriali sarebbe quella realizzata sempre dalla Fiat quando rilevò la Lancia: una lira». Ma il tempo stringe e la privatizzazione entro sui mesi potrebbe non essere realizzata. Di qui l’ipotesi estrema che piace molto: il fallimento dell’azienda. Chi subentrerà dopo avrà di fronte autostrade deserte sul personale e tutto sarebbe più facile.