Un «piano industriale» lacrime e sangue: 1.500 «esuberi», 10% in meno sui salari, blocco degli scatti di anzianità e delle quattordicesime per due anni. Tutti i sindacati protestano, mentre alcuni firmano la cig
Ora che le carte sono un po’ più scoperte, il marcio si vede meglio. Il piano industriale di Giancarlo Cimoli è finalmente venuto fuori, in contemporanea con la presentazione della «relazione semestrale» sul bilancio (con miglioramenti, ma ancora in perdita). Ed è venuto fuori in modo obliquo, come si conviene a relazioni industriali molto poco lineari. Un’agenzia ha battuto, nella serata di domenica, le linee essenziali della ristrutturazione della compagnia di bandiera. Ma si sapeva già tutto da qualche giorno. Cimoli vuol licenziare 1.500 lavoratori tra il personale di terra, tagliare per due anni i salari a tutto il personale navigante (piloti e assistenti di volo), bloccare per due anni gli scatti di anzianità a tutti, eliminando anche la quattordicesima per lo stesso periodo. La «restituzione parziale» di quel 10% avverrebbe però tramite azioni od obbligazioni dell’azienda (giochino che è già costato un patrimonio a tutti i dipendenti, qualche anno fa). Una sbobba indigeribile, specie se si prende seriamente la motivazione «ufficiosa» dell’azienda: l’aumento del costo del carburante, che peserebbe per 400 milioni di euro. E’ di pochi giorni fa, infatti, l’ammissione – da parte della stessa Alitalia – che questo prevedibilissimo aumento avrebbe potuto essere annullato tramite un’assicurazione (che fanno tutte le compagnie). Ma Alitalia, per «risparmiare» qualche spicciolo, aveva smesso di rinnovarla.
Il «piano» è oggettivamente indigeribile soprattutto per i sindacati che avevano firmato, in ottobre, il precedente piano, che prevedeva 1.360 «esuberi». Cgil, Cisl, Uil, Ugl (l’ex Cisnal fascista) si sono infatti ritrovati ieri mattina a firmare un corollario dell’accordo del 5 ottobre, a proposito di cassa integrazione straordinaria e contratti di solidarietà. Davanti a loro quelli che, ufficialmente, stavano per comunicare all’azionista di maggioranza (il ministero dell’economia) una versione rinnovata e più feroce del piano di ristrutturazione.
La reazione è stata verbalmente ferma, con una nota unitaria che ricorda come «le organizzazioni sindacali hanno ritenuto necessario l’apporto del fattore lavoro al risanamento dell’azienda», ma «il management, dopo essere intervenuto sulle leve dei costi, non ha ottenuto apprezzabili avanzamenti sull’incremento dei ricavi». La critica investe anche la strategia della alleanze (Sky Team), il marketing, i «requisiti di sistema», fino a coinvolgere il piano industriale stesso. Che a questo punto, per queste organizzazioni, o tiene insieme «politica di settore, progetto industriale e alleanze domestiche e internazionali» nel quadro della «ricapitalizzazione e privatizzazione di Alitalia», oppure – udite, udite – bisogna tornare alla «nazionalizzazione». Anche perché, ricordano, «se dopo tutti i sacrifici fatti» dai dipendenti «si continua a perdere soldi, vuol dire che l’azienda non funziona». Il costo del lavoro, infatti, «è il più basso in Europa tra i vettori tradizionali».
Il sindacato di base Sult (nato, è bene ricordarlo, da una scissione a sinistra della Cgil) ha avuto facile gioco nell’ironizzare sulle «lacrime di coccodrillo» sparse «a poche ore dalla sottoscrizione di un ulteriore accordo». Ora si può vedere come il tentativo di Cimoli di «schiacciare» questo sindacato, ritirandogli il riconoscimento (e l’agibilità interna) di controparte, fosse una «battaglia preventiva» in vista dello scontro che inevitabilmente si va a riaprire dentro l’azienda. Anche Cgil, Cisl, Uil e Ugl, infatti, appresa la notizia del nuovo piano (che però le agenzie definivano «ancora in fase di negoziazione»; tra chi e chi?), si affrettavano a parlare di «riapertura della vertenza».
Il Sult ha fatto anche qualcosa di più, presentando una sorta di «contropiano aziendale» abbastanza articolato che parte – oltre l’ovvia premessa del «rientro» del Sult tra le «organizzazioni riconosciute» – dall’«individuazione della reale missione» della compagnia, da cui discendono «le alleanze più opportune», la «riduzione di Iva e accise sui carburanti», l’intervento sul sistema aeroportuale («è inutile concentrare l’attenzione su Roma e Milano, quando nascono come funghi aeroporti e società di gestione che sovvenzionano, insieme agli enti locali, piccole compagnie e low cost»), fino al «concreto progetto programmatico per rilanciare il settore». Il tutto, inutile dirlo, senza gravare ulteriormente su costo del lavoro (il più basso d’Europa) e occupazione (già ai limiti dell’operatività).
Il problema dell’Alitalia negli ultimi 15 anni non sono stati i lavoratori, ma il management. E così è anche adesso con Cimoli, «il tagliateste» senza progetto industriale.