Alaska, gigantesco disastro petrolifero: una nuova Exxon Valdez

Tre mesi non sono bastati alla British Petroleum, meglio nota come Bp, per riparare un ramo dell’Alaska’s North Slope, il costosissimo oleodotto che dai primi di marzo continua a spargere petrolio nei terreni che circondano Prudence Bay. Finalmente, dopo avere riversato più di 270 mila galloni di grezzo (circa un milione di litri) nella zona di migrazione dei caribù, le proteste degli ambientalisti e delle comunità indigene locali hanno spinto un membro del Congresso ad alzare la voce contro la strana inerzia dei funzionari. In particolare non si capisce perché il Dipartimento dei Trasporti, invece di costringere la compagnia britannica a intervenire immediatamente, l’abbia autorizzata a continuare le operazioni concedendole ben 90 giorni di tempo per riparare il guasto. Infine, con l’approssimarsi della scadenza, i solerti funzionari hanno cominciato a manovrare per ritoccare ulteriormente il calendario fissato.
Stavolta però il giochetto potrebbe non funzionare. Bp sostiene di non essere ancora in grado di condurre i «sofisticati test ad alta tecnologia necessari a valutare la tenuta e la corrosione della pipeline» che, secondo quanto dichiarato dai tecnici della compagnia britannica, andrebbero fatti prima di avviare le riparazioni, ma i funzionari che hanno preso per buone queste scuse rischiano parecchio visto che appena si è verificata la perdita è stata aperta un’inchiesta federale. Del resto è solo grazie all’ingiunzione emessa il 26 aprile scorso dal Gran Giurì se la Bp si è decisa a mettere a disposizione degli investigatori la documentazione relativa all’incidente. «Perché il Dipartimento dei Trasporti non ha richiesto alla Bp di prendere provvedimenti immediati per bloccare lo sversamento?» ha chiesto John D. Dingell, deputato democratico che presiede il Comitato sull’energia e il commercio. Anche perché nel frattempo il petrolio ha continuato a disperdersi nell’ambiente con grave rischio per la fauna selvatica e facendo infuriare gli ambientalisti che conducono, proprio sulle perforazioni in Alaska, una battaglia ventennale. Non a caso Natalie Brandon, della Alaska Wilderness League, torna sul tentativo dell’amministrazione Bush di perseguire a ogni costo lo sfruttamento petrolifero dell’Artic National Wildlife Refuge, decisione più volte bloccata in extremis. «Questo sversamento di proporzioni storiche è una catastrofe per l’ambiente» ha detto l’attivista «e dovrebbe indurre i politici compiacenti del Congresso a smetterla di usare ogni sorta di trucchi per spianare la strada agli interessi petroliferi». Non è affatto detto che la perdita possa frenare le mire delle corporation ma di certo vanifica tutti i bei discorsi sullo sfruttamento petrolifero “sostenibile” che avevano accompagnato l’ultimo tentativo di arrembaggio alla riserva protetta. Gli ambientalisti hanno sempre sostenuto che le condizioni estreme dell’ambiente artico rendono impossibile una prudente gestione e una corretta manutenzione dell’oleodotto completato negli anni Settanta. Da allora l’Alaska North Slope ha registrato parecchi incidenti fra sabotaggi e perforazioni accidentali, ma nessuno grave come quello attuale.

Ma perché una compagnia che sta investendo così tanto nel restauro della propria immagine non spende qualche dollaro per contenere i danni? Eppure di cosucce ne avrebbe da farsi perdonare considerando che, proprio negli States, Bp ha appena dovuto pagare la bellezza di 21,4 milioni di dollari di multa per l’esplosione di una raffineria in Texas nella quale sono morti 15 lavoratori. La lentezza della compagnia nell’affrontare l’incidente in Alaska fa anche temere per la sicurezza dei progetti in dirittura d’arrivo. In particolare, come denunciato da Friends of Earth, l’oleodotto che da Baku dovrebbe portare il petrolio fino al porto turco di Cheyhan, sul Mediterraneo, e che sta cominciando a pompare i primi barili proprio quest’anno.

Un’altra decisione che non farà certo piacere alla lobby petrolifera è la nuova richiesta di denaro presentata dal governo federale e da quello dell’Alaska alla Exxon Mobil per i danni provocati dall’incidente del 1989. Il naufragio della Exxon Valdez, insieme alla colpevole indifferenza della compagnia, diede luogo al più grave disastro ambientale della storia con più di 11 milioni di galloni riversati in mare. L’incidente è già costato alla compagnia la bellezza di 900 milioni di dollari a cui ora si chiede di aggiungerne altri 100 visto che, come era facile prevedere, a distanza di anni gli equilibri dell’ecosistema sembrano tutt’altro che ripristinati come dimostrano gli alti tassi di mortalità della fauna selvatica. Se 100 milioni vi sembrano tanti considerate che in prima battuta i giudici avevano condannato la compagnia a pagare 4,5 miliardi di dollari per risarcire le comunità costiere e i lavoratori nell’industria della pesca: circa 32 mila persone che, in seguito al naufragio della Exxon Valdez, persero ogni fonte di sussistenza. Indubbiamente se le compagnie non fossero così generosamente foraggiate con fondi pubblici e se le autorità di controllo riuscissero a imporre davvero il rispetto degli standard ambientali, ci penserebbero due volte prima di imbarcarsi in progetti azzardati e rischiosi come, appunto, le perforazioni polari.