Al senato la grande occasione del partito americano

Quasi nessuno parla inglese, non tutti sono invitati il 4 luglio a villa Taverna ma se decidessero di mettersi insieme in nome della fede atlantica sarebbero il terzo gruppo parlamentare in senato. Il secondo dell’Unione. Sono il partito americano. Osservati speciali in vista del prossimo martedì di passione a palazzo Madama. Quando tra ordini del giorno e rinnovo della missione in Afghanistan la maggioranza ha più probabilità di inciampare che di restare in piedi. La paura dell’agguato si è già diffusa: occhio agli amici americani.
Colombo, Morando, Cusumano, D’Amico, Bianco, Vernetti e tutti gli altri: negli ultimi tre giorni in pochi sono usciti allo scoperto con una dichiarazione. Ma tutti hanno borbottato preoccupazione. Soffiato ai giornali che nella crisi tra il governo italiano e quello americano tifavano di sicuro per gli Usa. Se D’Alema è venuto a più miti consigli per il partito americano è una vittoria. Non è detto che basti.
Circola una lista: l’ultimo censimento. Non è più vecchio di due mesi. Quando un piccolo gruppo di parlamentari dell’Unione sentì il bisogno di chiedere al governo, il governo dell’Unione, di «non voltare le spalle all’Afghanistan». Fuor di metafora di mandare più truppe a fare la guerra fino in fondo. Tra i promotori tre senatori dell’Ulivo: Lamberto Dini, Valerio Zanone e Antonio Polito. Americani di vecchia e nuova data. In un attimo quella piccola lista si trasformò in un diluvio: venticinque nomi solo tra i senatori di centrosinistra. Non tutti americani con i quarti di nobiltà ma tutti in grado di capire che era il momento di alzare la mano. L’ambasciatore americano a Roma stava già facendo girare tra i colleghi il suo invito-appello sull’Afghanistan che D’Alema definì «irrituale». Pochi giorni dopo a sei senatori del partito americano bastò uscire dall’aula per creare l’incidente sulla base di Vicenza: ancora Lamberto Dini, l’ex ministro degli esteri allevato dal Fondo monetario internazionale, più Bordon, Manzella, Manzione, Mazzarello e Zavoli. L’inizio della crisi di governo.
Naturalmente non siamo ai tempi della Booth Luce. A Roma non c’è più tanta gente disposta a scattare sull’attenti. E non ci sono del resto nemmeno i fondi del piano Marshall. E non più il «nuovo De Gasperi» anche se ha lasciato l’ufficio da poco: si tratta infatti di Silvio Berlusconi così come lo chiamarono negli Stati uniti quando gli fu riservato l’onore di parlare davanti al Congresso (il Cavaliere ne ha fatto un dvd da regalare gli amici). Sono tempi meno turbolenti, come dice D’Alema, e per fortuna le liste degli amici americani stanno negli inviti alle cerimonie dell’ambasciata e non in quelle di Gladio. Per cui conviene guardare lì, sul prato di villa Taverna davanti a una brace di hamburger – dove peraltro l’anno scorso è stato anche D’Alema, rinunciano a un invito del ministro degli esteri tedesco per vedere la semifinale dei mondiali tra Germania e Italia. Rinuncia inutile. Oppure bisogna spiare tra chi ha fatto la fila per entrare nelle inaccessibili stanze di palazzo Margherita, un pezzo di via Veneto più un parco seicentesco sottratti a Roma per ospitare degnamente gli uffici dell’ambasciata e del consolato Usa.
Meglio ancora per capire chi guida il partito americano bisogna sporgersi dalle parti del governo e ricordare che ci fu un momento nell’autunno dell’anno scorso, quando i ministri avevano trovato il tempo di assestarsi nei loro incarichi, un momento in cui partì una strana diplomazia parallela tra Italia e Usa con i colleghi di governo che facevano a gara per presentarsi a Washington. D’Alema inaugurò, com’è ovvio, ma poi seguì Mastella e subito dopo Amato e infine Rutelli. Chi ci mise insieme un passaggio a little Italy, chi la processione al Columbus day, chi una cena dalla potente lobby italo americana Niaf. Anche se il vero campione in questo resta il senatore De Gregorio, che è ormai nel centrodestra e una sua lobby italo americana l’ha costruita da zero. Le relazioni insomma ondeggiano tra lo stile dei Soprano’s e le black pepper tagliatelli servite al ristorante Aquerelle dove Condoleezza e D’Alema hanno cenato prima di litigare.
La lista dei 25 nel frattempo è cresciuta e il partito americano in senato ormai è a più di quaranta iscritti. Più della sinistra «radicale». E quel che è peggio per la traballante maggioranza ci sono quasi tutti i senatori a vita. Cossiga in testa. Anche se non c’è più Gladio.