Alle sei di sera dopo la fine della guerra il maggiore incontra infine l’amata maestrina e al loro bacio tanto agognato scattano i fuochi d’artificio mentre i moscoviti inneggiano a Stalin che ha sconfitto i nazisti. È il finale pirotecnico di V shest’ chasov vechera posle vojny, il film di Ivan Pir’yev prodotto dalla Mosfilm nel ’44, classico del film musicale sovietico nell’eccezionale rassegna «Storia segreta del cinema russo» della mostra di Venezia curato da Aljona Shumakova, seguita con stupore da un pubblico di studiosi, critici e pubblico poiché mostra un’immagine veramente poco conosciuta dell’Impero, quella della gioia di vivere nello stato sovietico. Alcuni di questi film arrivarono proprio a Venezia come L’allegra combriccola, di Grigorij Aleksandrov (già assistente di Eizensteijn) vincitore del Leone d’oro nel ’34, film accusato di formalistmo ma che piaceva a Stalin e fu proiettato ovunque.
Rassegna realizzata in collaborazione con la Fondazione Prada che ne curerà la diffusione e la ristampa in dvd (per quanto riguarda i film di Aleksandrov), con l’Agenzia Federale per la Cultura e la Cinematografia e Sovexportfilm di Mosca, sfolgoranti di restauro, i film che la compongono coprono un arco di tempo che va dagli anni trenta all’inaspettato film di Andrej Konchalovskij Romans o vlyoblionnykh (La romanza degli innamorati) del ’74. Dopo questa data i film musicali saranno di ispirazione televisiva.iI film pongono problemi di rilettura storica di periodi successivi, dallo stalinismo, all’epoca di Kruscev a Breznev, film posti sotto censura non tanto dalla burocrazia poststaliniana, quanto dalla distribuzione occidentale che si guardò bene di far arrivare sugli schermi i prodotti euforici dell’immaginario comunista, mentre (poiché possedeva le sale) faceva arrivare sicuramente tutti i prodotti altrettanto ottimisti del capitalismo.
Accanto ai due nomi chiave di Pyr’ev e Aleksandrov si stagliano a grandi lettere quelli delle loro mogli dive, rispettivamente Marina Ladynina vivace e destinata a ruoli proletari altamente specializzati o di ambiente contadino e Lyubov Orlova, aristocratica, laureata al conservatorio, danzatrice e cantante di alto livello destinata alle più sofisticate performances (uno dei suoi primi estimatori fu Chaliapin). Si vedono scorrere nei titoli dei film i celebri nomi di Shostakovitch (supercensurato tranne che al cinema), di scrittori e artisti, di Eizensteijn che per l’amico Aleksandrov girò un’intera scena di stupefacente rissa tra musicisti del reparto tornitori (era la band di Leonid Utiosov in L’allegra combriccola) come fosse La taverna dei sette peccati con John Wayne.
Il nome di Andrej Konchalovskij (il fratello «americano» di Michalkov) è un’altra sopresa e aiuta a comprendere criticamente una grande tradizione. Fornisce con Romans o vlyoblionnykh (La romanza degli innamorati) la ripresa di un genere e il suo rovesciamento disperato, la sua dissoluzione, dove l’amore tra due adolescenti si interrompe durante il servizio militare di lui, creduto morto durante un’operazione di salvataggio. Lei sposa un altro, lui invece torna, come un fantasma e da quel momento non si dà pace per essere stato cancellato per sempre dal cuore dell’amata. Il film è ormai lontano dalle origini del genere. Il nucleo principale di questo genere era costruire consenso ed entusiasmo negli obiettivi da raggiungere, le categorie sono quelle dei lavoratori dei kolkoz, come i Traktoristy (di Pyr’ev del ’39) che poi sono trattoriste, perchè gli uomini sono piuttosto lavativi, dove i sentimenti sono chiari, non esiste nè gelosia nè tradimento (e in questo modo, si dichiara, l’amore non è un passatempo borghese), nato dalla grande tradizione teatrale e sostenuta da maestri del cinema, grandi compositori, attori celebri fino a formare quella macchina da guerra che sono i film di propaganda (noi li conosciamo bene, sono quei film come Singin’ in the rain, ad esempio, ovvero la costruzione del pensiero positivo), nulla è lasciato al fuoricampo, la musica copre completamente lo spazio sonoro, l’ottimismo e l’allegria sono i protagonisti principali, verso un radioso finale. Il problema era driblare le accuse, fare dello spirito ma senza finire in un gulag (come accadde a molti). O avere una fine tragica come quella di Boris Barnet (L’estate prodigiosa distribuito anche in Italia nel ’50 che lanciò il genere del contadino musicante).
Il mondo del cinema è troppo astuto per appiattirsi su formule, lo sa bene il cinema italiano che ha subito un’analoga rilettura critica dei film prodotti durante il ventennio dove, a dispetto delle indicazioni, si andava in tutt’altra direzione. Quella dei film sovietici è la scelta del divertimento e della arguta presa in giro – per quanto si poteva fare – come ad esempio quella costante del dirigente di struttura grezzo, campagnolo e incolto, poi la messa in scena (negli anni ’60) della corruzione di basso livello (subito scoperta e punita) come nel fantastico Cheriomushki (Rione Cheriomushki) di Gerbert Rappaport dl ’63, a colori, con musiche di Schostakovic (che era ostile al cinema, ma vi lavorò per oltre 40 anni per sfuggire la paura della valutazione politica e ideologica: questo tema è approfondito nel nuovo numero di «FilmCronache» dedicato alla musica da film). Cheriomushki ebbe non pochi problemi in quanto sembrava la presa in giro del piano di Kruscev per la nuova edilizia popolare: è il quartiere dove tutti i sogni si realizzano, si dice, dove bisogna disfarsi delle cose vecchie affinchè nelle stanze risuonino canzoni. Ci sono perfino i termosifoni ed è la fine della coabitazione. Ma intanto, si canta, nel quartiere non c’è ancora la scuola nè il mercato, ed è molto facile che qualche furbone potente si faccia assegnare l’appartamento migliore. Che i tempi siano diversi si vede da qualche passo di rock danzato insieme a coreografie su plastico architettonico e un senso di solitudine giovanile alla Françoise Hardy espreso dal protagonista. Alla domanda «Come stai?» si risponde: «lavoro con indomita energia», ma si sa che sono cose d’altri tempi, come le trattoriste e le kolkoziane che ora lasciano il passo alle direttrici di museo. I trattoristi di Pyr’ev, i tornitori di Aleksandrov, i carristi, gli artiglieri e la cavalleria, i marinai: tutti alzano la loro voce per cantare in coro (e il popolo che non canta più in coro vive in una società in dissoluzione, ci diceva Iosseliani), danzare, suonare ogni strumento, fare evoluzioni sul trapezio come in Cirk (del ’36 di Aleksandrov che finisce con le sue coreografie per evocare i progressi spaziali). Un solo, deciso accenno finale al tovarisc Stalin è messo come sigillo ai film.
Un convegno a conclusione della rassegna ha dato alcune risposte ai tanti interrogativi posti dai film, con autorevoli relatori come il critico Bernard Eisenschitz, lo studioso Aleksandr Shpagin, Aleksandr Golutva, Aljona Shumakova curatrice della rassegna. Il parere della critica è che sono film giudicati troppo presto. I film dal 39 al ’41, si è detto, non furono film stalinisti nè convenzionali, realizzati con grande uso di musica popolare, la più irriverente verso il potere (alle marce si passerà più tardi). Il nome di Boris Barnet è diventato famoso perchè i Cahiers ne hanno parlato, il nome di Pyr’ev è stato conosciuto perchè quando si chiese a Paradjanov quali fossero i suoi registi preferiti lui rispose: Pasolini e Pyr’ev e nessuno sapeva chi fosse il secondo.
«Pyr’ev io e Tarkovskij non lo potevamo sopportare», confessa Andrej Konchalovskij alla tavola rotonda. Il suo Romanza degli innamorati è tutto in rima, in parte anche di sua madre, famosa poetessa. «Posso dire, dice Konchalovskij, che è stato scritto da un uomo che era chiamato lo Shakespeare russo, Grigoryev Yevgeni. Era una specie di follia, ci ho pensato a lungo perchè all’inizio sembrava impossibile. Poi ho deciso di girarlo in bianco e nero, come la vita dopo la morte. Finisce con la morte del protagonista. Se ne va l’amore ed è come se lui morisse e a quel punto la gente smette di parlare in rima. È come se l’uomo avesse perso l’anima. C’è poca informazione su quei decenni, così come la troppa informazione crea un rumore di fondo altrattanto confuso. Romanza degli innamorati lo portai a Roma con una delegazione. C’era Bertolucci con una bellissima Mercedes accompagnato dalla Sandrelli. Noi comunisti italiani, disse Bertolucci, ci battiamo contro gli americani e io pensai: “Come vorrei essere un comunista italiano: mi batterei contro gli americani e avrei quella bellissima Mercedes”. Noi avevamo il dovere di essere tutti felici».