Al mercato delle braccia

GERUSALEMME

Immigranti, lavoratori stagionali, manovali pendolari. E’ intenso il traffico umano e di lavoro in Israele. Nel caso degli immigrati le cose, sino ad oggi, sono andate generalmente bene. Non possono dire altrettanto i lavoratori stagionali o a termine giunti dall’Europa dell’est, dall’Africa e dell’Asia, e nemmeno i pendolari palestinesi che fino allo scorso settembre, quando è cominciata l’Intifada, si recavano a decine di migliaia in Israele alla ricerca di occupazioni giornaliere. Paese che con una nota legge garantisce il “diritto al ritorno” nel suo territorio a tutti gli ebrei sparsi nel mondo (ma non ai profughi palestinesi, che fino a qualche decennio fa vivevano in quella stessa terra), Israele ha garantito una buona accoglienza (con rare eccezioni) agli immigrati ebrei. L’ultima ondata (“aliya”, ossia “salita” in ebraico) è stata quella degli ebrei “russi”, cioè provenienti dalle repubbliche che un tempo formavano l’Unione sovietica.
Un milione di persone, arrivate nel paese tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà del decennio scorso. Con il generoso sostegno di un prestito eccezionale di 10 miliardi di dollari offerto dagli Stati uniti, le autorità israeliane non hanno soltanto “assorbito” i nuovi immigrati (olim hadashim) favorendone l’inserimento nella società, ma hanno anche utilizzato i fondi a disposizione per creare opportunità imprenditoriali, risultate poi importanti nella recente crescita economica avuta dal paese.
Un programma governativo “per la creazione di nuove industrie” ha dato lavoro a migliaia di scienziati e tecnici ebrei “russi”, di cui hanno usufruito almeno 500 medie imprese. I fondi sono serviti anche per aiutare le giovani società nate sull’onda del successo di Internet. Il colosso statunitense American on line, ad esempio, ha comprato di recente per 287 milioni di dollari un’impresa israeliana, “Mirabilis”, che ha prodotto un programma per Internet in grado di consentire scambio di messaggi on-line in tempo reale.
Ben diverso è il caso degli immigrati stagionali, ovvero di quei lavoratori (alcune decine di migliaia) giunti dall’est europeo, dall’Africa e dall’Asia con contratti a termine. Ingaggiati da agenzie specializzate per periodi di due-tre anni – ma molti (cinesi in particolare) hanno addirittura pagato per arrivare in Israele – questi lavoratori si sono ritrovati inconsapevolmente all’interno del piano di trasformazione dell’economia israeliana dal welfare al liberismo sfrenato. La presenza di tanti lavoratori a basso costo, con contratti a termine, privi di garanzie reali, spesso duramente sfruttati, ha avuto un peso determinante nel ridurre drasticamente i benefici garantiti per decenni ai lavoratori israeliani. In completa balia degli eventi appaiono i lavoratori pendolari palestinesi, che pure sono gli “stranieri” preferiti dagli imprenditori israeliani: la sera rientrano a Gaza e in Cisgiordania, e, dice qualcuno, “lavorano mediamente più di un rumeno o di un russo”. Sono però “un problema di sicurezza” e, da sette mesi, non hanno più la possibilità di entrare in Israele.
Fermi sul gradino più basso della scala, i pendolari palestinesi (erano circa 60 mila quelli con un regolare permesso, prima di settembre), tra tutti i lavoratori sono i più sfruttati. Il loro impiego peraltro diminuirà in futuro. Non per “ragioni di sicurezza”, ma proprio per motivi economici. I settori dove trovano lavoro – edilizia, agricoltura e industria tessile – sono in trasformazione. L’edilizia preferisce in forma crescente i muratori dell’Europa dell’Est e gli asiatici. L’agricoltura diventa sempre più marginale, anche per la crisi idrica (contribuisce per il 3% alla ricchezza nazionale e consuma il 60% dell’acqua). L’industria tessile israeliana ha scoperto che investire all’estero – Romania, Egitto, Giordania – offre garanzie di lavoro a costo ancora più basso di quello palestinese. E’ il miracolo della globalizzazione miserabile, ben nota agli imprenditori del nordes italiano. Nei “bantustan” palestinesi in Cisgiordania e Gaza, privi di risorse e opportunità di lavoro, la vita tra qualche anno, sarà impossibile.