Al cuore del partito

Mozioni degli affetti tra separandi a parte, ieri il Congresso di scioglimento dei Ds ha indicato una differenza tra passato e futuro prossimo, tra ciò che restava della storia comunista in quel partito e cosa sarà il Partito democratico, almeno nella sua filosofia di fondo. Bisogna ringraziare più di ogni altro Walter Veltroni, il cui pensiero – troppo spesso liquidato come buonista – costituisce per la nuova creatura politica un vero architrave – per quanto lieve, ma ciò è perfettamente in linea con la logica di fondo. Forse il sindaco di Roma, che non è amato dagli apparati, suderà parecchio per diventare il leader del nascente Pd; o forse non ci riuscirà nemmeno. Tuttavia il futuro gli appartiene, perché esprime un senso comune largamente diffuso nella platea congressuale fiorentina e in tutto il morente partito.
Nello spiegare come si possa essere di sinistra (soprattutto nel cuore) in un soggetto politico che non si dirà più tale, Veltroni ha illuminato ciò con cui si rompe e ciò su cui c’è continuità. La rottura ha un oggetto preciso, il conflitto; o, meglio, i soggetti collettivi del conflitto. La continuità è incarnata nel demiurgo politico, nel partito e nel governo (nelle sue diverse versioni, nazionali e locali). Ciò che tiene insieme rottura e continuità è il principio (l’esigenza assoluta) di stabilità. Non che il conflitto venga cancellato: i Ds-Pd non sono mica stupidi. Semmai viene considerato una turbativa pericolosa (fino ad essere sanguinosa), che non produce più una politica positiva e che, alla fine, è antitetico alla democrazia. È una rottura storica con la tradizione delle sinistre europee, fatta a fin di bene, e giustificata dalla frammentazione sociale di fronte cui i soggetti che portano addosso una contraddizione focolaio di scontro non riuscirebbero più a reagire positivamente. A quel punto interviene il demiurgo politico – qui c’è continuità – che ha il compito di occuparsi delle sofferenze, lenirle, risolverle, almeno un po’, determinando il buon governo. E con esso la stabilità. Vale per i bambini dell’Africa affamata, come per i giovani del call-center italiani.
Non è un caso che questa trasfigurazione dei soggetti dei conflitti in oggetti passivi di buon governo sia maturata profondamente sul ruolo sociale del lavoro. Offuscato da anni di ideologia liberista, il lavoro è oggi considerato da tutti un problema. I lavoratori meno, nel senso che non sono intesi più come un soggetto collettivo. Così bisogna affrontare la precarietà prima che diventi disperazione, bassi salari prima che si trasformino in rabbia, insicurezza sociale prima che generi nuovi egoismi o perfino criminalità. Tutti interventi ragionevoli e urgenti, ma tutti ipotizzati in assenza di un soggetto collettivo dotato di autonomia e identità: i lavoratori – in ogni loro versione «contrattuale» – sono semplicemente degli individui in difficoltà, da aiutare. Tanto da soli non ce la possono fare. A pensarci bene è una radicale riformulazione del ruolo della società e della politica; un ridisegno della democrazia in senso anglosassone (più americano che altro). E, naturalmente, non vale solo per il tema del lavoro, ma per ogni «voce» delle relazioni umane: affermando, fra le altre cose, che le democrazie occidentali si sentono minacciate dai conflitti sociali che le hanno storicamente generate. Ed è per questo che tutto deve avvenire dentro la società politica – nell’autonomia della politica -, dalla disponibilità a vendere Telecom a Berlusconi al come tenere insieme stato laico e dettami vaticani. È una visione che va presa molto sul serio: è il perno attorno cui ruoterà tutto il futuro quadro politico. O quasi tutto: chi ne è già fuori o chi ne sta per uscire (al di là delle collocazioni di partito o di governo) dovrà misurarsi con quella rottura-continuità non solo in opposizione ad essa, in nome del passati o come imperativo etico. Dovrà farci i conti contrapponendo una pratica politica e una concezione della democrazia che sappia superare la divisione – questa sì novecentesca – tra i soggetti del conflitto e quelli della sua gestione politica. E farlo sapendo guardare alle contraddizioni di oggi: in fondo sarebbe un bel modo per riempire lo spazio aperto di chi si dice a sinistra non solo nel cuore.