Ahmadinjead rilancia la sfida. Petrolio contro le sanzioni?

Forte del largo consenso sul piano interno ottenuto grazie alla campagna di pressioni da parte americana ed europea, il presidente iraniano ha convocato ieri una conferenza stampa nella quale ha usato toni insolitamente moderati per riaffermare comunque la sua linea di fermezza: l’Iran porterà avanti comunque – ha detto in sintesi – la sua ricerca sul nucleare, volta unicamente a scopi pacifici, e in caso di deferimento al Consiglio di sicurezza bloccherà immediatamente ogni ispezione dell’Aiea (Agenzia internazionale dell’energia atomica) sul suo territorio. Senza dirlo esplicitamente, e rispondendo a specifica domanda, il presidente ha anche lasciato capire che potrebbe usare l’arma del petrolio per reagire a eventuali pressioni o sanzioni economiche; una prospettiva questa che suscita preoccupazione in molti Paesi occidentali, soprattutto in un periodo di grande richiesta e di altri prezzi del greggio come quello attuale. Forse per questo il vice-ministro degli Esteri tedesco Gernot Erler ha definito le sanzioni «una via molto pericolosa» e che potrebbe avere «un impatto straordinariamente spiacevole».
Ahmadinejad, come si è accennato, ha negato recisamente che l’Iran voglia dotarsi della bomba atomica, riaffermando il carattere pacifico della sua industria nucleare e rivendicando il diritto di portarla avanti sulla base del Trattato di non proliferazione, regolarmente sottoscritto già da diversi anni. «Abbiamo detto più volte – ha affermato il presidente – che la nazione iraniana non ha bisogno di armi nucleari. Noi siamo una nazione civile. Ad avere bisogno dell’arma atomica sono coloro che vogliono risolvere tutti i problemi con la forza e l’intimidazione»; l’Iran, al contrario, porta avanti – secondo Ahmadinejad – una politica estera che ha come obiettivo la «pace basata sulla giustizia». E qui è venuto un affondo contro i governi occidentali che stanno cercando di portare la questione dinanzi al Consiglio di sicurezza. Ahmadinejad ha infatti accusato l’Occidente di avere «un approccio medievale» e di seguire una politica di «due pesi e due misure», chiamando in causa (senza nominarli) «quei leader che credono di poter creare la pace per sé stessi facendo la guerra agli altri»; riferimento anche troppo evidente alla politica della Casa Bianca e dei suoi alleati e alla guerra contro l’Iraq.

Il trattato di non proliferazione nucleare, ha detto ancora Ahmadinejad, riconosce espliciti diritti ai Paesi che ne sono firmatari; «nessuna scusa o strategia – ha aggiunto – può privarci di questi diritti». Gli è stato chiesto allora se l’Iran reagirà alle pressioni internazionali diminuendo o bloccando (oppure anche selezionando) le sue esportazioni di petrolio; la risposta è stata indiretta ma chiara: «Abbiamo gli strumenti necessari per difenderci – ha detto – e coloro che usano un linguaggio aspro contro l’Iran hanno bisogno dell’Iran dieci volte di più di quanto noi possiamo aver bisogno di loro». Queste parole del presidente iraniano hanno suscitato una certa preoccupazione in Occidente, il che spiega le dichiarazioni più “morbide” di cui già parlavamo ieri e cui si è aggiunta quella sopra citata del vice-ministro tedesco Erler. Le cancellerie sono alla frenetica ricerca di una via di uscita che salvi al tempo stesso la sostanza del problema e la faccia di chi critica Teheran. Annullata – non per volontà iraniana – la seduta del 18 gennaio per il negoziato con la “troika” europea (Francia, Gran Bretagna e Germania), ora i governi occidentali stanno cercando di persuadere altri Paesi membri dell’Aiea a seguire la loro linea e ad aderire alla proposta di rimettere la questione al Consiglio di sicurezza, magari con una preliminare riunione del “board” dei governatori della stessa Aiea. Ma è una strada in salita. La Russia potrebbe forse aderire alla richiesta di riunione del Consiglio, anche per smorzare indirettamente i toni della polemica provocata dalla questione del gas e dell’Ucraina; ma la Cina è decisamente contraria e non voterebbe comunque le sanzioni, e lo stesso può dirsi dell’India, che non fa parte del Consiglio di sicurezza ma ha un peso non marginale. Sia Pechino che New Delhi hanno con Teheran ingenti accordi commerciali e di cooperazione in campo petrolifero, mentre la Russia le fornisce tecnologia per le sue centrali nucleari. Lunedì funzionari europei, russi, cinesi e americani si riuniranno a Londra e non sarà certo un incontro facile.

In margine alla questione nucleare, Ahmadinejad è tornato anche sulle sue affermazioni di negazione dell’Olocausto (che aveva definito “una leggenda”) facendo una mezza marcia indietro: ha deplorato infatti che «piuttosto che replicare adducendo argomenti scientifici, l’Occidente mi ha bollato come un guerrafondaio; ribadisco quanto già detto – ha aggiunto – ma sono il capo dell’esecutivo, non uno studioso». Pertanto, a suo avviso, «l’Occidente dovrebbe essere abbastanza aperto mentalmente da consentire un dibattito internazionale libero sulle reali dimensioni dell’Olocausto». Probabilmente, nel nuovo clima di unità nazionale, qualcuno in casa sua lo ha avvertito che le aveva sparate troppe grosse.