Agente Usa: «Noi controllavamo ogni passo di Calipari»

Un agente americano della Nsa (la National Security Agency) ha dichiarato in una intervista a Rai News 24 che “l’agenzia conosceva esattamente la posizione di Calipari al momento della sua uccsione”. Calipari fu ucciso giusto un anno fa, subito dopo la liberazione di Giuliana Sgrena – della quale era stato protagonista – dai colpi sparati dai soldati americani contro la sua macchina. Giuliana Sgrena restò gravemente ferita. Gli Stati Uniti hanno sempre detto che fu uno sbaglio. L’intervista dell’agente Wayne Madsen rovescia quella tesi: i comandi americani avevano sotto il loro pieno controllo gli spostamenti di Calipari al quale intercettavano costantemente il cellulare. Dunque – verosimilmente – la sparatoria non fu un errore. Perché allora gli americani volevano uccidere l’agente italiano?
Ieri, durante la commemorazione ufficiale di Calipari, di fronte alla moglie e alle figlie di Nicolò, il ministro Martino ha detto che la morte fu colpa del fato. Una gaffe piuttosto grave, che non deve aver fatto piacere alla famiglia. Tanto che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, si è sentito in dovere di intervenire subito per correggere il suo collega: “La teoria del fato è cosa passata – ha detto – e bisogna agire per conoscere la verità. Nelle cerimonie ufficiali capita spesso che ci si abbandoni anche a un pizzico di retorica, e la retorica contiene sempre qualche piccola insidia. » capitato anche stamani (a Martino, ndr), e me ne dispiace”.

L’intervista all’agente americano andrà in onda sui notiziari Rai New 24 oggi a partire dalle 6 e 30.
«L’Nsa, la National Security Agency, la più importante agenzia di sicurezza americana sapeva esattamente la posizione di Nicola Calipari al momento della sua uccisione». A squarciare il silenzio nell’anniversario della morte dell’agente Sismi ucciso a Baghdad è Wayne Madsen, ex agente Nsa, raggiunto dai microfoni Rainews24 in una nuova clamorosa intervista di Sigfrido Ranucci. E’ trascorso un anno da quel quattro marzo. Da quando i telegiornali vennero scossi dalla notizia del tragico esito della liberazione di Giuliana Sgrena che si concluse con l’uccisione dello 007. Ieri, a Roma, si è celebrato l’anniversario della morte dell’agente del Sismi che fece scudo col suo corpo di fronte a quell’ultimo “check in” che doveva riportare in Italia la giornalista del “Manifesto”. Di quei drammatici fatti che si susseguirono incalzanti fino all’epilogo finale molto è stato detto. E scritto. Restano i dubbi le incertezze, restano le domande a cui da parte degli Stati Uniti d’America non è stata data risposta alcuna. Resta anche la sorpresa e un po’ lo sconcerto quando nell’evocare la drammatica uccisione di Calipari è Martino, il ministro della Difesa, a parlare di «fato». Ma è proprio nel giorno della commemorazione che questa nuova clamorosa intervista squarcia quella cortina di ipocrisia caduta sull’uccisione di Calipari. Certo sorprendono le metafore, anche letterarie del ministro. A meno che non si voglia chiamare “fato” quel proiettile sparato – come accertò l’inchiesta conclusasi il 25 ottobre scorso dei cinque esperti nominati dai pm romani Pietro Saviotti ed Erminio Amelio – dal soldato statunitense Mario Lozano (scoperto proprio grazie all’eliminazione degli “omissis” dal rapporto redatto dalla Commissione d’inchiesta statunitense). Ma a conferma che proprio fato non fu sono gli altri inquietanti particolari che escono fuori dall’intervista messa a fuoco dall’inviato Rainews. «L’Nsa – spiega Madsen – in una zona di guerra come quella dell’Iraq, ha un registro con tutti i numeri dei telefoni cellulari, le frequenze usate e i nomi delle persone, che vengono monitorate continuamente». Madsen è stato agente segreto sotto la presidenza Reagan, con il compito di proteggere i dati sensibili degli Usa da eventuali intrusioni dell’ex Unione Sovietica. E’ stato consulente della commissione europea sul sistema d’intercettazione Echelon, di cui Madsen ha rivelato la funzione dei satelliti per la telefonia mobile nell’ambito delle intercettazioni. Oggi quella stessa intervista verrà mandata in onda sui notiziari di Rainews. Ieri è stato al contrario il giorno del silenzio, di una commemorazione, celebrata prima nella casa storica del Sismi di Forte Braschi, poi in Campidoglio alla presenza di Ciampi di Martino poi ancora del sindaco Veltroni oltre che del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, dei familiari, della moglie Rosa, nonché della stessa Sgrena che è parsa volutamente, per lo meno ascoltando Martino, allontanare dalla ricerca della verità.
«Ad imperituro ricordo» – dicono i colleghi – del sacrificio di Nicola Calipari, il 4 marzo di ogni anno sarà celebrata la festa del Sismi.

«Con quale coraggio – sottolinea Gigi Malabarba, membro del Copaco nonché senatore di Rifondazione – si può parlare di “fato” di fronte ai familiari dell’agente del Sismi Nicola Calipari?». «La magistratura italiana ha incriminato lo sparatore Mario Lozano per omicidio volontario e un ministro della Repubblica, a nome del Governo, scagiona a priori gli americani? Dovrebbe come minimo essere accusato di alto tradimento». «Come documento nel mio libro (“Segreti e bugie” in edicola oggi con Liberazione) – aggiunge Malabarba – vi sono tutte le circostanze ricostruite dall’ambasciatore John Negroponte che portarono a quel tragico evento per ottenere dall’Italia il riallineamento dell’alleato sulla “linea della fermezza” in materia di ostaggi».

Un “allineamento” che continua a premere al governo italiano più che la giustizia. Neppure il premier in visita da Bush – sottolineano molti esponenti delle opposizioni – ha avuto il coraggio di ricordare il tragico incidente che costò la vita di Calipari. E Martino se ne astiene bene. Anche dal richiederle quelle spiegazioni. Gli Stati Uniti – sottolinea ancora il capo del “pool” antiterrorismo Franco Ionta – sono nella migliore condizione possibile per rispondere al motivo per cui non danno seguito alla richiesta di rogatoria avviata dal ministro della giustizia. «Il miglior modo per onorare la sua memoria di ricordarne il sacrificio e di rispettare il dolore della famiglia – prosegue il magistrato che del resto conosceva molto bene Calipari – è quello di proseguire doverosamente, con l’impegno di sempre, negli adempimenti processuali che possano portare alla ricostruzione della vicenda e al vaglio delle eventuali responsabilità». Dopo l’avviso di chiusura delle indagini e il deposito degli atti in base all’articolo 415 del codice penale, non sono venuti segnali dall’altra parte dell’Oceano. Per questo, gli inquirenti potrebbero stabilire entro il mese di aprile di depositare, previa emissione del decreto di irreperibilità dell’indagato, la richiesta di rinvio a giudizio del soldato Usa che fece fuoco quella sera. In questo contesto pesano e non poco gli “omissis” del ministro. Sorprendono persino Gianni Letta. «Capita spesso nelle cerimonie ufficiali – sottolinea il sottosegretario alla Presidenza del consiglio – che ci si abbandoni a un pizzico di retorica, la quale contiene sempre qualche piccola insidia. Forse – aggiunge piccato Letta – per desiderio di una metafora letteraria, nel tentativo di nobilitare la figura di Calipari, è stata evocata la tragedia greca dove è il Fato che spiega tutto ciò che accade, conseguenza ineludibile di qualcosa che non è né conoscibile né influenzabile dall’uomo: la teoria del destino per l’uomo e per il mondo». «Ma – conclude – la morte di Calipari non è dovuta al Fato e dunque bisogna agire perché si conosca la verità ed emergano le responsabilità». Anche all’intervista di Rainews si dovrà dare le necessarie risposte. Ma è un passo in quella direzione. Nella ricerca della verità.