Afghanistan: via le truppe per un cambiamento della politica estera

«L’iniziativa e la lotta per la pace e i diritti umani, per la certezza del diritto internazionale e il rispetto delle autonome scelte di ciascun popolo, sono e saranno sempre parte fondante dell’iniziativa dei metalmeccanici», dicevamo due anni fa al Congresso nazionale. A questi principi è legato l’impegno per i diritti fondamentali del popolo palestinese e per la nascita di un vero Stato Palestinese indipendente a fianco a quello di Israele. Per le stesse ragioni la Fiom, ha preso posizione e partecipato in questi anni al movimento contro la guerra e per la pace, senza se e senza ma. Il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq è un risultato anche di questo movimento, che si è manifestato con particolare forza in Italia dal 2001, anno dell’attacco degli Stati Uniti all’Afghanistan (Enduring freedom). Oggi le truppe italiane, quasi 2000 militari, sono presenti in Afghanistan ed è a dir poco irrealistico definirla una missione di pace. In Afghanistan c’è la guerra, che continua a mietere vittime civili e, recentemente, una vittima anche tra i militari italiani. Dal 2003 l’Isaf (International Security Assistance Force, autorizzata per sei mesi nel 2001 dalle Nazioni Unite per assistere il governo ad interim e il personale delle Nazioni Unite a Kabul e dintorni) è sotto il comando Nato e la guida politica è esercitata dal North Atlantic Council in forte coordinamento con la struttura di Enduring Freedom, a comando Usa. La Nato ha deciso per il 2006 di incrementare la propria presenza e di espandere l’Isaf anche al sud del paese (l’area di maggior conflitto armato), fino al 2010.
La natura bellica della missione è oggi evidente, la marginalizzazione dell’Onu, altrettanto. Si estende la guerra scatenata dagli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre 2001, contro cui si erano levate le voci e l’iniziativa del movimento per la pace. Una guerra che, come sempre, non ha portato democrazia e libertà, ma ha favorito strategie, gruppi e attacchi terroristici, mentre il governo in Afghanistan, voluto dagli Stati Uniti, cerca di puntellarsi con i “Signori della guerra” che hanno manolibera in buona parte del paese, le basi militari Usa si moltiplicano, la produzione di oppio aumenta. I problemi economici e sociali dell’Afghanistan si aggravano rapidamente. La guerra mostra, ancora una volta, di essere sbagliata in sé, di essere soltanto strumento di distruzione.

Per questo è necessario che anche le truppe italiane in Afghanistan vengano ritirate e che si avvii un radicale cambiamento della politica estera, a cui il precedente governo ha rovinosamente impresso un marchio bellicista e totalmente dipendente dalla politica della Amministrazione Usa. Non ci sono due tempi: prima quello dell’”ordine” portato dalla guerra e poi la risposta agli enormi bisogni sociali di popolazioni oppresse e poverissime. Prima la guerra, poi il Diritto.

C’è un tempo solo per la sicurezza e il diritto a vivere e decidere di sé di quelle popolazioni: il tempo della pace, della giustizia, del rispetto incondizionato del diritto internazionale. Per questo, l’impegno dell’Italia per l’applicazione dell’articolo 11 della nostra Costituzione, si deve tradurre ritirando le truppe anche dall’Afghanistan e prevedendo invece un forte impegno in campo sociale e civile. L’Italia agisca affinché l’Unione Europea diventi protagonista nel prevenire i conflitti, nell’intervenire per una loro pacifica risoluzione, nello sviluppare una cooperazione paritaria nord-sud, in cui la solidarietà internazionale significhi anche giustizia sociale; operi per la riforma e democratizzazione, urgentissima, delle Nazioni Unite. Un’altra politica estera è possibile e necessaria: l’Italia esca dalla guerra e si impegni a costruire alternative di pace.

* Ufficio internazionale Fiom Cgil