Afghanistan, scontro «in parlamento»

Accordo rapido, prima che la maggioranza frani del tutto. Se per tutta la giornata di ieri le voci di corridoio assicuravano che il decreto sul finanziamento della missione in Afghanistan sarebbe stato rimandato alla prossima settimana, ieri sera «voci ben informate di palazzo Chig» hanno fatto sapere che la mediazione è vicina e che il testo sull’Afghanistan sarà messo ai voti già al consiglio dei ministri di giovedì pomeriggio. «Riformisti» e «radicali» sarebbero vicini alla mediazione sul «segnale di discontinuità» da collegare al decreto.
Sebbene sei mesi fa sia stato votato un «osservatorio» mai diventato operativo, ora i dissidenti della sinistra radicale sarebbero disposti a mediare sull’aumento dei fondi per la cooperazione e sulla proposta di una «conferenza internazionale» sull’area. La prima proposta traballa prima ancora di essere stata approvata: l’anno scorso il governo ha stanziato circa 35 milioni da dividere tra tutte le missioni, eccetto l’Iraq, e a fine anno una bella fetta di quei soldi non era neppure stata spesa. Se oggi dovesse passare l’aumento a 50 milioni, dunque, cambierebbe ben poco.
La riunione di domani pomeriggio tra Romano Prodi, Massimo D’Alema e Arturo Parisi dovrebbe dire la parola definitiva sul decreto e sul calendario per giovedì. Ma non è detto che i ministri della sinistra radicale si accontenteranno delle modifiche di cui si discute in questi giorni. Alfonso Pecoraro Scanio dei Verdi ha già detto che le modifiche di cui si discute in questi giorni non basteranno a convincerlo ad alzare la mano, Paolo Ferrero di Rifondazione comunista dice diplomaticamente di voler valutare prima il testo ma sembra piuttosto scettico. E Alessandro Bianchi dei Comunisti italiani sembra fermo sul no.
Il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano dice da giorni che «non è possibile accettare maggioranze variabili». Per convincere i suoi a seguirlo nel voto di rifinanziamento della missione, pensa ad una mediazione da giocare in parlamento una volta passato il voto del consiglio dei ministri. «Ci dobbiamo prendere tempi adeguati per avviare un confronto nel merito», spiegava ieri a chi gli chiedeva ragguagli in Transatlantico. Il meccanismo del doppio voto – sinistra radicale contraria in consiglio dei ministri ma favorevole dopo le modifiche del parlamento – sembra convincere il sottosegretario agli esteri Gianni Vernetti: «È in Parlamento che faremo la discussione. Si deve andare in Parlamento, e sono sicuro che il decreto passerà con una larga maggioranza».
Di certo Rifondazione comunista è preoccupatissima dall’idea che possa passare il principio di maggioranze variabili che oggi consentono di non approvare la missione afghana e domani aprono la strada all’approvazione con i voti del centro destra di leggi che parlano di diritti individuali e coppie di fatto. Nel pomeriggio compare una dichiarazione del capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena in cui il senatore sembra rassegnato alla sconfitta «non sarebbe un dramma se il decreto passasse con maggioranze variabili», subito chiarita: «E’ assurdo pensare che da quel voto debbano derivare le dimissioni di Prodi, ma ovviamente il meccanismo delle maggioranze variabili non ci convince e rischia di essere pericoloso». Né la sinistra radicale né il fronte moderato sembrano disponibili all’ennesimo voto di fiducia sul testo. Enrico Boselli dello Sdi dice chiaramente che porre la fiducia sarebbe «un errore».