Da tre giorni un fotografo freelance italiano è nelle mani di una banda che l’ha sequestrato nella zona di Kandahar, la roccaforte dei talebani che combattono contro la coalizione a guida Usa. Gabriele Torsello, 37enne di Alessano (Lecce), è stato catturato giovedì mattina da un gruppo di cinque uomini armati che erano saliti sull’autobus sul quale viaggiava, lungo la strada che collega Kandahar alla capitale Kabul ed è considerata la più pericolosa del paese. Era partito da Laskargah, la città dove si trova l’ospedale di Emergency al quale Torsello aveva fatto visita pochi giorni fa. L’autista lì per lì non ha dato l’allarme e ha proseguito fino a Kabul, dopo quasi una giornata di viaggio. Ha parlato solo quando è rientrato di nuovo a Laskhargah. Così la notizia si è diffusa solo ieri, quando è stata confermata dalla Farnesina, dal comando della forza multinazionale Isaf e da Peace Reporter, il sito di informazione legato alla Ong di Gino Strada.
Un afghano di nome Gholam Mohammed, che a quanto dice viaggiava con Torsello, ha raccontato il sequestro all’agenzia di stampa locale Pajhwok. I cinque sono saliti, l’hanno ammanettato e sono scesi con lui. La stessa agenzia afghana, subito rilanciata dalla Reuters, ha anche riferito di aver chiamato il cellulare di Torsello e di aver ricevuto una risposta che più inquietante non si può: «Siamo talebani – ha detto uno sconosciuto – e abbiamo rapito lo straniero perché è una spia». Anche un giornalista afghano che conosce Torsello, Abdul Samad Rohani, ha tentato di chiamarlo sul cellulare e si è sentito rispondere che il fotografo è stato sequestrato da guerriglieri talebani. Poi il telefono ha smesso di squillare, evidentemente i rapitori l’hanno spento nel timore di essere localizzati.
La prima buona notizia è arrivata ieri sera. Alle 19 italiane, quando laggiù era quasi notte, Torsello è riuscito a riattivare il telefono e ha chiamato l’ospedale di Emergency dove ha potuto parlare con l’addetto alla sicurezza, un ex combattente di etnia pashtun che conosce bene i gruppi e le bande della regione. Secondo Peace Reporter il giornalista ha confermato di essere stato rapito e di non sapere dove l’avessero portato, quindi ha chiesto all’interlocutore di chiarire ai rapitori le sue buone intenzioni – ovvero che non è una spia – e di comunicare loro che è di religione musulmana. Torsello, che parla solo l’inglese, sembra aver avuto dei problemi di comunicazione con chi lo tiene prigioniero. La telefonata all’ospedale italiano è durata pochi secondi ed è stata subito interrotta, poi il telefono è tornato muto. Ma forse sarà lo stesso utile a chi lavora per stabilire uncontatto con i sequestratori e ad avviare le trattative.
Il fotoreporter sequestrato ieri lavora per lo più al di fuori del circuito dei media italiani ed europei, ultimamente per l’agenzia californiana Zooma press. Conosce l’Afganistan, dove era arrivato per la prima volta nel 2005. E negli anni novanta era stato a lungo in Kashmir, del quale si è innamorato fino a scegliere il nome d’arte di «Kash»: l’ha perfino registrato come marchio. Da almeno un mese Torsello si trovava nella regione, assai sconsigliata, di Kandahar, dove la scorsa settimana sono stati uccisi due giornalisti tedeschi. Chi l’ha incontrato all’ospedale di Emergency ricorda che non indossava abiti occidentali ma quelli tradizionali agfghani. Non è stato bastato per non dare nell’occhio.
Per il suo rilascio si muove, da ieri pomeriggio, l’intelligence militare italiana, che dall’Afghanistan è già riuscita a riportare a casa l’operatrice umanitaria Clementina Cantoni. La Farnesina ha attivato l’unità di crisi e ha avvertito i genitori del fotografo, che vivono ad Alessano (Lecce) mentre il figlio da anni si divide tra Londra e l’Oriente: «Ci hanno chiamato verso le 18», ha riferito la mamma di Torsello, Vittoria Augenti. Subito si è mobilitata l’amministrazione del piccolo comune salentino, il sindaco Luigi Nicolardi ha risposto indirettamente a chi accusa Gabriele di essere una spia: «Per Gabriele sensibilizzare la gente sulle problematiche della guerra e dell’integrazione tra i popoli è una missione. Me lo ha ripetuto l’ultima volta che ci siamo visti, quando è venuto ad Alessano per presentare un calendario sulla pace. Lo conosco da tempo – dice ancora Nicolardi – da quando presentò il suo ultimo libro, un racconto fotografico sul dramma delle popolazioni in guerra».