Afghanistan, raid Nato nel sud. Parigi preme su Karzai per i rapiti

Le fonti militari parlano di almeno ventiquattro guerriglieri talebani uccisi ieri nel sud dell’Afghanistan in scontri sul terreno e bombardamenti aerei. Nessun civile, come di regola nei comunicati Isaf, riportato tra le vittime. Secondo il generale americano Dan McNeill, comandante della Forza di Assistenza alla Sicurezza Internazionale, le truppe a guida Nato hanno sferrato un primo duro colpo agli insorti nella punta settentrionale della provincia di Helmand quasi totalmente sotto controllo dei Taliban e dove si concentrano la maggior parte delle coltivazioni di papavero da oppio. Il generale statunitense in conferenza stampa a Kabul ha aggiunto inoltre che i 36.000 soldati dispiegati non sono sufficienti ed ha chiesto l’invio di ulteriori truppe. Esortazione questa rivolta ai Paesi europei coinvolti nell’Alleanza. «Siamo noi i più forti e abbiamo sferrato il primo colpo» ha tuonato ottimisticamente ai giornalisti il generale promettendo che, nonostante gli attacchi dei miliziani aumenteranno, si tratterà di «gesti di disperazione» di un nemico ormai sconfitto. O quasi. Parigi ha intanto deciso di inviare un diplomatico di «alto rango» a Kabul per tentare di ottenere la liberazione dei due cittadini francesi operatori dell’ong “Terre D’Enfance” e dei loro tre collaboratori afghani. La scelta -la prima così decisa – è stata compiuta per fare «amichevoli pressioni» sul presidente afghano Karzai la cui linea dura sui rapimenti sta esponendo a grave rischio la vita dei cinque rapiti il 3 aprile scorso nella provincia di Nimroz nel sud ovest dell’Afghanistan e confinante con l’Iran. Lo scambio di prigionieri è stata secondo Kabul un’«eccezione» concessa una sola volta per la liberazione di Daniele Mastrogiacomo, seguita poi dall’incarcerazione di Rahmatullah Hanefi, l’uomo di Emergency che aveva aperto un canale di trattativa con i Taliban. Il responsabile della sicurezza dell’ong, il cui personale internazionale ha lasciato il Paese più che in segno di protesta per l’oggettiva impossibilità di continuare a lavorare in sicurezza e dopo le infamanti accuse di «collaborazionismo», si trova tuttora nelle mani dei servizi segreti afghani rinchiuso in un carcere di Kabul.