«Se le cose stanno così noi non la votiamo, renditi conto di cosa significa». Crisi di nervi sfiorata, giovedì notte, tra il segretario di Rifondazione Franco Giordano e Romano Prodi. Il premier infatti, stufo di quello che considera «il continuo ricatto dei partiti», ha comunicato per telefono ai leader dell’Unione che era fermamente intenzionato ad accelerare la discussione sul decreto per le missioni all’estero portando almeno la parte economica già nel consiglio dei ministri di ieri.
Una pretesa dovuta non tanto e non solo ai paletti «pacifisti» posti dall’ala sinistra dell’Unione quanto dalla recente sconfitta che il Professore ha patito sulla direzione generale della Rai, dove l’arrivo di Claudio Cappon gli ha fatto toccare con mano la debolezza delle sue scelte rispetto a quelle dei partiti (Ds e Margherita in testa) che contano a viale Mazzini. La «furia» del Professore, soprattutto contro la Quercia (che con Petruccioli detiene di fatto la presidenza della Rai), è stata immediata: «Questi sono sempre gli stessi, non cambiano mai», si è sfogato Prodi. Il che non giustifica andare a una prova di forza su un’altra questione che scotta come il decreto sull’Afghanistan. Nemmeno la notte ha portato consiglio al premier. Prima del consiglio dei ministri però un rapido giro di telefonate lo portato a recedere. Visto e considerato che anche il leader dei verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, non lo ha sostenuto e ha chiesto di evitare accelerazioni improvvide. Evitando il confronto politico e presentando un pacchetto preconfezionato, insomma, Rifondazione e Verdi non avrebbero votato le missioni. «Non avendola potuta discutere prima ne discuteremo in parlamento, se le cose stanno così noi non la votiamo. Renditi conto di cosa significa». E’ stato il messaggio ultimativo di Giordano al premier. Per i vertici di Rifondazione arrivare a un appuntamento del genere senza una posizione minimamente accettabile non sarebbe stato gestibile visti maldipancia delle minoranze, decisive soprattutto al senato. Senza contare che arrivare divisi alla vigilia del referendum non avrebbe certo dato una buona impressione del centrosinistra, già ai ferri corti oltre che sulle missioni anche sulla manovra «pesante» di Padoa Schioppa.
«Prodi è troppo nervoso, vuole distruggere i partiti», si sfogava Fassino giovedì sera dopo Porta a porta. In questo clima di sospetti martedì pomeriggio la questione delle missioni all’estero arriverà al tavolo dei capigruppo del centrosinistra di camera e senato. Sul tappeto la definizione della mozione di indirizzo da allegare al decreto finanziario. La linea del Piave, almeno per Rifondazione, è articolata su tre assi: niente caccia Amx, niente truppe speciali e soprattutto niente coinvolgimento nell’offensiva in atto nel sud dell’Afghanistan. L’aumento delle truppe potrebbe anche essere considerato, stante la mozione di indirizzo, ma inserire anche uno soltanto di questi elementi «bellici» renderebbe inutile la mozione e porterebbe alla catastrofe un governo che ancora non ha avuto nemmeno il via libera formale del parlamento sulla sua composizione. Anche Pecoraro Scanio (che pure ha «difeso» il Professore dagli «inciuci» in Rai dei partiti maggiori con il centrodestra) alza la voce: «La missione non è il mezzo sufficiente, e a mio avviso neanche adatto, per estendere i diritti e la pace ed è ora di interrogarsi su quali siano gli strumenti più adatti». I Verdi si sgolano da giorni perché l’Italia promuova insieme all’Europa una conferenza internazionale di pace che affronti anche il capitolo oppio, con l’Afghanistan che produce ormai un terzo dell’eroina mondiale.
Il ministro della difesa Arturo Parisi in un’intervista all’Unità di ieri chiede agli alleati in parlamento «continuità degli impegni e condivisione delle responsabilità». E per Giovanni Russo Spena, capogruppo Prc in senato, è ancora possibile trovare una «mediazione alta» ma «è indispensabile un percorso che favorisca il confronto nell’Unione».
Il governo però insiste su un decreto unico e non esclude neanche il voto di fiducia. Un esito sostanzialmente inaccettabile per le sinistre ed escluso esplicitamente dal programma dell’Unione. «Il testo che abbiamo sottoscritto è molto chiaro – ricorda Jacopo Venier del Pdci – ‘il parlamento deve autorizzare le spese votando separatamente per ogni singola missione».
Il centrodestra intanto fiuta aria di disastro per il secondo governo Prodi, anche se non ha ancora deciso il da farsi. La fiducia allontanerebbe l’eventuale voto «bipartisan» sulla politica estera. Berlusconi chiede ai suoi di evitare stampelle al centrosinistra. Roberto Formigoni invita all’attacco presentando una mozione che aumenti le truppe in Afghanistan. I centristi dell’Udc, per ora, stanno alla finestra. Fino al vertice di martedì, però, tutti i giochi sono sospesi. E solo allora si capirà che documento arriverà al consiglio dei ministri del 30 giugno, «dead line» certa e unica per tutte le missioni.