Afghanistan, otto senatori si ribellano

Otto senatori che non mollano l’osso. Otto senatori che, anche se in serata si registrava già la possibile defezione del comunista italiano Russo, voteranno la conversione del decreto che finanzia nuovamente la missione in Afghanistan solo se all’interno ci sarà quella «exit strategy» che persino il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano prometteva sui giornali di domenica scorsa e che invece ora sembra sparita. Mauro Bulgarelli (Verdi), Loredana De Petris (Verdi), Fosco Giannini (Prc), Claudio Grassi (Prc), Gigi Malabarba (Prc), Fernando Rossi (Pdci), Giampaolo Silvestri (Verdi) e Franco Turigliatto (Prc) ieri pomeriggio hanno dato un nuovo spintone all’accordo appena raggiunto sul decreto di rifinanziamento della missione in Afghanistan, spiegando che «senza discontinuità» non lo appoggeranno.
E proprio la «discontinuità» è il problema che rovina le giornate della sinistra radicale, Rifondazione in testa. Il testo arriverà al consiglio dei ministri venerdì, ma ieri sia il ministro degli esteri Massimo D’Alema che quello della difesa Arturo Parisi si sono affrettati a spiegare che il decreto di finanziamento sarà improntato alla «continuità», ovvero come dice Parisi, conterrà un «finanziamento analogo a quello precedente». Ci saranno sì 400 soldati in meno, ma sarà solo «il risultato della normale variabilità del personale ritenuto necessario per lo svolgimento delle attività previste e non di una scelta politica finalizzata ad un processo di riduzione intenzionale della nostra partecipazione alla missione». Certo però, conclude, la missione «non è infinita». Visto il quadro afgano, l’offensiva al sud imminente e le pressioni della Nato per l’aumento dei mezzi militari, la maggioranza di Rifondazione lo considera già un risultato. Non cambieranno le regole di ingaggio, quasi sicuramente non ci saranno i caccia Amx (la presenza dei velivoli da ricognizione «predator» invece è molto probabile) e ci sarà comunque una «commissione di monitoraggio» sulla situazione a Kabul. «Avevamo due strade: esprimere un dissenso sulla missione e poi chiedere la fiducia o cercare un accordo nella maggioranza per consentirci di impedire che la missione afgana diventasse quello che ancora oggi chiede la Nato. Nel primo caso non avremmo dato alcun contributo al percorso dei pacifisti», dice in serata il comunicato firmato dai capogruppo di camera e senato Gennaro Migliore e Giovanni Russo Spena.
I senatori ribelli non sono d’accordo, come non lo è il pezzo di movimento pacifista che martedì protestava davanti a Montecitorio. «Che le proteste di piazza non siano enormi non è un tema di discussione – dice il leader dei Cobas Piero Bernocchi – Anche i sondaggi hanno spiegato che in Italia esiste ancora una maggioranza contraria a tutte le missioni di guerra e le posizioni del movimento pacifista non sono mai cambiate». Solo il Comunista italiano Russo in serata era possibilista. Oliviero Diliberto, dopo la linea dura di due giorni fa, ieri ha ritrattato spiegando che «i comunisti italiani sono contrari alla missione in Afghanistan, ma hanno anche a cuore la sorte del governo Prodi». Tradotto in voti vuol dire che domani il ministro Bianchi potrebbe votare contro il decreto ma poi, al momento della conversione in aula il Pdci appoggerebbe il testo del governo anche senza il ricorso alla fiducia invocato nei giorni scorsi.
La soluzione alla fuga degli otto, o sette, senatori nella pratica l’ha già offerta l’Udc che ieri ha approvato durante la Direzione nazionale del partito l’appoggio alla missione «in continuità con le scelte di politica estera della precedente legislatura». Una scelta che ha mandato su tutte le furie il leader di An Gianfranco Fini: «Chiedo agli amici di Forza Italia, dell’Udc e della Lega di attendere prima di dire sì o no all’ipotesi di votare il decreto Afghanistan». Ma pure l’Unione, che pure accoglie i voti dell’Udc, è preoccupata. Accettare la stampella vorrà dire ammettere che sulla guerra la maggioranza non c’è.