Il vero stratega di Al Qaeda, l’egiziano fondatore della Jihad e teorico della sfida globalizzata agli Usa, Ayman Al Zawahiri, è sempre più saldamente al vertice dell’organizzazione. Specie dopo la morte del giordano “emiro nella Terra dei Due Fiumi” Abu Mousab Al Zarqawi. Certamente, è all’apice della capacità di orientamento e dell’uso della leva mediatica per quel che concerne la rete alqaediana. Ieri ne ha dato una nuova prova: rimbalzato da un sito web islamico, un ennesimo videmessaggio di Al Zawahiri ha fatto il giro del mondo, stavolta indicando la linea di condotta in Afghanistan. E’ il nono clip di questo tipo del vice di Osama Bin Laden dall’inizio dell’anno. E dovrebbe dire qualcosa del contesto reale in cui si colloca il dibattito italiano sulla partecipazione alla missione militare Isaf.
Al Zawahiri, infatti, con in testa il turbante bianco dei “compagni del Profeta” e dietro un Ak 47 poggiato su un fondo nero, ha rivolto un appello tutto politico ai «fratelli musulmani di Kabul» e «dell’Afghanistan tutto» ad «attaccare subito e ovunque i crociati», per «cacciare l’invasore». E’ un messaggio di forte impatto, alla vigilia del dispiegamento a luglio nel Sud Est strapieno di Taleban delle truppe Nato dell’Isaf, precedute in questi giorni da un tentativo di “offensiva di saturazione” di quelle statunitensi, britanniche, australiane e canadesi della coalizione bushiana di “Enduring Freedom”. Un messaggio ancor più forte perché l’appello è jihadista e ad un tempo ecumenico, toccando così i nervi scoperti della crisi ulteriore di stabilità del governo del presidente Karzai e di tenuta delle sue alleanze tribali e con i signori della guerra. Crisi manifestata dalla rottura di Rabbani con i vertici di Kabul come dal giuramento di fedeltà ad Osama da parte del vecchio condottiero dei mujaheddin anti-sovietici, Ekhmatyar. E, sul campo, sono stati gli stessi comandi britannici a dover ammettere di aver «sottovalutato» le forze Taleban nel Sud come nel Nord Est: dove oggi sono state unità militari Usa a dover ingaggiare furiosi combattimenti. Il bilancio di questi primi mesi dell’anno, d’altronde, parla chiaro: oltre 1000 i morti in attentati e battaglie, 600 solo nelle ultime settimane.
Al Zawahiri ha confezionato il suo messaggio, in realtà, all’indomani della strage di civili compiuta dai marines e dalla polizia di Karzai a Kabul, il 29 maggio scorso. Ma il contenuto di in incitamento all’unità e a passare all’attacco è comunque dirompente: anche e soprattutto per l’avvertenza di «non lasciarsi ingannare» e dunque di non fare «distinzioni» fra i contingenti stranieri. Fino a ricordare, oltre alle «torture degli Usa», le «offese al Corano» attribuite a «danesi, francesi e italiani». Con il che, i governi della Nato sono avvertiti della posta reale dell’avvicendamento alle truppe statunitensi in diminuzione.
D’altra parte, è stato ieri lo stesso Karzai a lanciare segnali sorprendenti, di ritorno da Pechino. Il presidente ha infatti dichiarato: «Ho sistematicamente, ripetutamente e quotidianamente avvertito la comunità internazionale di quanto sta accadendo in Afghanistan e della necessità di cambiare approccio». Karzai allude ad una «strategia anti-terrorismo che miri a bloccare le fonti di finaziamento, di addestramento e di equipaggiamento», avvertendo: «Non è accettabile che continuino a morire cittadini afghani». Con l’aggiunta significativa: «Anche se si tratta di Taleban». E commentando su Al Zawahiri che è «un nemico dell’Afghanistan» e che polizia ed esercito faranno di tutto per «catturarlo». Anche qui, con un’aggiunta: «Che l’America lo voglia o no».
Tutto questo dovrebbe essere materia di riflessioni anche in Europa. Di europeo, a Kabul, ieri c’era il sottosegretario italiano agli Esteri, Gianni Vernetti, reduce dalla Prt di Herat in una visita di tre giorni. E se mercoledì aveva giocato a dare conferme indirette alle gravissime anticipazioni della rivista del Pentagono Defense News su un aumento del contingente militare italiano, ieri è stato più cauto, o ambiguo: «al momento – ha infatti affermato – non c’è un impegno da parte italiana di coinvolgimento nel sud del Paese, nella fase tre della missione Isaf». E anche: «Il tema dei caccia Amx non è all’ordine del giorno». Ma la chiosa è bifronte: «Consolideremo e intensificheremo la nostra presenza là dove già siamo presenti, cioè a Kabul e a Herat».
Il sottosegretario, in verità, ha riservato un’altra sorprendente anticipazione: «In base al quadro che ho tracciato il decreto per il rifinanziamento delle missioni italiane all’estero che sarà presentato il 30 giugno potrebbe essere un decreto unico». E secondo Vernetti «con questa cornice la coalizione di governo uscirà coesa». Una deduzione che al momento sfida le nostre facoltà logiche.