Afghanistan, la guerra segreta

Il gen. Stanley McChrystal, comandante delle truppe Usa e Nato in Afghanistan, è preoccupato: le Forze per le operazioni speciali sono «responsabili di un gran numero di vittime civili ed operano secondo proprie regole» (The New York Times, 16 marzo).

Tra gli ultimi episodi venuti alla luce c’è quello verificatosi in un villaggio della provincia di Paktia, dove è piombata di notte una squadra delle forze speciali Usa (non in uniforme) alla ricerca di due sospetti talebani. Ha invece ucciso il capo della polizia locale e un magistrato e, quando tre giovani donne hanno cercato di soccorrerli, sono state anch’esse uccise. Diversi testimoni raccontano di aver trovato le donne legate e imbavagliate e con tagli di coltello sul corpo.

A questo McChrystal ci è abituato: dal 2003 al 2008 ha diretto il Comando congiunto per le operazioni speciali e, secondo il giornalista investigativo Seymour Hersh (Premio Pulitzer), ha organizzato un «settore esecutivo per l’assassinio», collegato al vice-presidente Cheney, attivo soprattutto in Iraq e Afghanistan. Ora però, nel suo nuovo incarico, McChrystal vuole porre le forze speciali sotto più stretto controllo per «ridurre le vittime civili» e quindi il «sentimento antiamericano» che aumenta tra la popolazione.

La cosa non è semplice. Sotto le operazioni belliche ufficiali, è in corso in Afghanistan una guerra segreta in cui la Cia svolge un ruolo crescente. Essa ha costituito una rete di piccole basi, da cui operano gruppi di agenti per individuare i capi degli insorti ed eliminarli. Le informazioni sono spesso fornite da «contrattisti indipendenti» al servizio del Pentagono e delle varie agenzie. Essi costituiscono un vero e proprio esercito ombra, il cui numero supera i 100mila, addetto a vari compiti.

Uno squarcio su queste operazioni segrete si è aperto quando il New York Times (14 marzo) ha riportato il caso di Michael Furlog, un ex ufficiale ora impiegato civile del Pentagono, che ha usato un fondo di decine di milioni di dollari, ufficialmente destinato a raccogliere informazioni su alcune aree tribali, per costituire una rete di contrattisti con il compito di individuare, nella zona di confine col Pakistan, «sospetti militanti» da eliminare. Sono state a tale scopo incaricate due agenzie private: la International Media Ventures, costituita da ex ufficiali delle forze speciali, che si occupa di «comunicazione strategica e campagne mediatiche» per conto del Pentagono e di suoi comandi; la American International Security Corporation, anch’essa costituita ad ex militari e agenti segreti, che si occupa di «fornire sicurezza» a governi, agenzie e multinazionali.

Non si sa quanti «sospetti militanti» siano stati eliminati in base alle informazioni delle due agenzie, né in che modo esse siano state pagate (a forfait o in base al numero). Tantomeno si sa se, per aumentare il guadagno, esse abbiano indicato qualche povero pastore come un pericoloso capo talebano, da eliminare con un’azione delle forze speciali o, in maniera più asettica, con un missile lanciato da un aereo senza pilota comodamente guidato con un joystick da una base negli Stati uniti.

(il manifesto, 15 marzo 2010)