Afghanistan, gli Stati Uniti ringraziano

D’Alema ha “raccomandato al segretario di Stato americano Rice di tenere conto delle preoccupazioni da parte della popolazione di licenza per il possibile impatto dell’allargamento della base statunitense”. E la signora Condoleezza Rice, in risposta, ha espresso “il ringraziamento degli americani al governo italiano per le difficili decisioni prese sull’Afghanistan e sulla base di Vicenza”. Ringraziamenti evidentemente accettati per quanto riguarda la base militare Dal Molin, ma giudicati superflui per il rifinanziamento della missione afgana perché, come ha spiegato D’Alema alla sua interlocutrice “nessun paese al mondo chiede il ritiro della forza internazionale da quel paese, non lo vuole nemmeno la Cina”. Ecco da Bruxelles, in pillole, i passaggi salienti dell’incontro bilaterale tra il capo della diplomazia italiana e quello Usa.
Sulla proposta italiana di organizzare una conferenza di pace internazionale sull’Afghanistan “non c’è stata una reazione negativa” da parte della Rice, ha spiegato D’Alema in conferenza stampa, precisando che questo è un tema “che gli americani ritengono di approfondire, soprattutto con il governo afgano, anche in vista di un possibile incremento delle attività militari con l’arrivo della primavera”. Una previsione, questa, che rende ancor più urgente la necessità di “rilanciare una forte azione di carattere politico, altrimenti il rischio è che un’offensiva di questo tipo possa avere risultati, non tanto in termini militari, quanto piuttosto sull’opinione pubblica dei nostri Paesi”.
In realtà, la missione italiana in Afghanistan sta già dando qualche mal di pancia alla maggioranza di centrosinistra in Italia. Il non voto di giovedì sera di tre ministri va letto come un “incoraggiamento al governo” a dare alla missione quel volto politico (finora offuscato dagli aspetti militari) richiesto a gran voce dalle segreterie dei verdi, di rifondazione e del Pdci oltre che da un nutrito gruppo di parlamentari dell’Unione. Va letto come un’apertura a trovare una soluzione condivisa in Parlamento. Come dire che esistono le “fibrillazioni a fini benefici”.
Per il segretario Prc, Franco Giordano, queste le condizioni imprescindibili: il decreto dovrà prevedere “più soldi per la cooperazione civile. Interventi per acquisire l’oppio a fini terapeutici sottraendolo così al traffico illegale di stupefacenti, e soprattutto un impegno per una Conferenza internazionale di pace, alla quale devono partecipare anche paesi come il Pakistan e l’Iran”. Però, avverte Giordano, “non ci basta che queste tre condizioni vengano messe in un documento a parte, le vogliamo nel decreto, che dovrà essere modificato nel suo iter parlamentare”. Giordano, si sa, deve fare i conti con il malcontento del movimento pacifista e, soprattutto, con il dissenso interno a Rifondazione che, per mezzo di Salvatore Cannavò (sinistra critica) fa sapere che “non si può votare la missione” italiana in Afghanistan e invita a “ripensare la presenza del Prc al governo”. “Cannavò sbaglia” taglia secco il ministro degli affari sociali Paolo Ferrero: “malgrado i distinguo che mi hanno portato a non votare il decreto in consiglio, resta sempre l’impegno a lavorare affinché il governo non cada e duri cinque anni”. Un impegno che necessita di “ricercare soluzioni e mediazioni” all’interno della maggioranza di centrosinistra.

A questo punto, una domanda è lecita: il rifinanziamento della missione italiana non è un evento improvviso e inaspettato. Che si sarebbe arrivati a questo punto lo si sapeva già dalla scorsa estate, quando otto senatori hanno fatto traballare l’Unione per due intere settimane. Possibile, dunque, che la mediazione interna al centrosinistra sia un tema da inserire in agenda solo oggi? Possibile che l’Unione sia tale solo nel nome e mai nei comportamenti, che sopravviva di tormentone in tormentone senza trovare la volontà di coinvolgere, non tanto i ministri, quanto ogni singolo parlamentare in pre-discussioni dove le ragioni di ciascuno possano trovare asilo e, infine, sfociare in una sintesi in grado di far fare a tutto il paese un passo in avanti?
Domande, le nostre, che ancora una volta restano inevase. Accontentiamoci quindi dell’ottimismo di Dario Franceschini e Marina Sereni. Il primo, capogruppo dell’Ulivo alla Camera, “non esclude possibili miglioramenti” del decreto in parlamento. La seconda, vicepresidente dei deputati ulivisti, si dice “certa che il parlamento troverà l’intesa” su un ordine del giorno che illustri e accompagni il decreto legge. “Penso – continua Marina Sereni – a un documento politico che sintetizzi gli impegni del governo nel teatro afgano, con particolare riferimento agli aspetti politici, diplomatici e di cooperazione economica”.