Afghanistan, far tacere le armi per un vero piano di pace

La bussola del nostro pacifismo sono gli occhi delle popolazioni civili, le prime e vere vittime delle guerre. Anche nel caso dell’Afghanistan il nostro interesse è fare sì che l’Italia contribuisca a una pacificazione fondata sui diritti umani e la giustizia, a partire dalle indicazioni che arrivano dalla società civile afghana democratica. Non è un percorso facile.
Guerre di invasione, colpi di stato, sostegno esterno a fazioni violente hanno segnato la storia di un paese strategico per gli equilibri dell’area e per le risorse energetiche. Tutto ciò è stato pagato a caro prezzo dalla popolazione, costretta a vivere fra guerra, violenza, corruzione, mafia, oppressione dei diritti umani e civili.
Per questo sosteniamo le componenti di società civile afghana che ritengono necessaria la presenza di una forza militare dell’Onu per proteggere la popolazione civile. Una forza Onu potrà operare positivamente solo se sarà chiara la discontinuità con l’invasione del 2001.
La presenza Nato è, nonostante la formale distinzione di compiti, commista alla strategia degli Stati uniti impegnati nella guerra al terrorismo con Enduring Freedom. La debole legittimazione dell’Onu non è sufficiente a mutare, per gran parte del popolo afghano, la convinzione che Isaf abbia una contiguità con l’occupazione e con le operazioni Usa. L’Italia relazionerà all’Onu sulla missione civile e militare in Afghanistan. E’ un’opportunità per aprire una nuova fase, con un maggiore impegno internazionale e una discontinuità rispetto alle scelte finora compiute.
La situazione è cambiata. Per questo cambiare è necessario e credibile.
Nel 2001, dopo l’attentato alle Twin Towers, le Nazioni unite diedero il via libera a un’azione in Afghanistan in nome del diritto all autodifesa sancito dall art. 51 della Carta dell Onu.
Noi credevamo che non si dovesse rispondere al terrorismo con la guerra perché essa non avrebbe risolto i problemi, ma li avrebbe aggravati. Il governo italiano invece sostenne l’operazione Enduring Freedom promossa dagli Stati uniti e dalla Gran Bretagna contro le basi di Al Qaeda, protette e sostenute dal regime talebano. L’occupazione si avvalse del sostegno di fazioni altrettanto malviste dalla popolazione in quanto antidemocratiche e reazionarie – prima fra tutte l’Alleanza del nord. Il regime talebano è caduto, ma ha nel tempo riorganizzato le sue forze e combatte per il controllo del paese. Nel governo in carica, legittimato con il voto di tanta popolazione che sperava nella pace e nella democrazia, siedono forze che hanno sostenuto l’invasione del paese, ottenendo in cambio impunità sui crimini commessi e che usano il governo per rafforzare arbitrio e dominio. La popolazione si sente tradita, e sconfitta. In Afghanistan si sta configurando una competizione per il controllo del territorio sulla pelle di un intero popolo e delle donne. La situazione si è aggravata con l’offensiva della Nato. Il rischio che tutte le forze militari siano coinvolte in un conflitto aperto è altissimo. Crediamo che la comunità internazionale debba modificare la propria presenza militare:
1. L’Onu dovrebbe ristrutturare la missione militare, dando a essa il compito di proteggere la popolazione civile contro i soprusi operati da qualsiasi parte, e il personale impegnato negli aiuti e nella ricostruzione.
2. La nuova missione militare dovrebbe essere sotto controllo politico e militare dell’Onu e operare una cesura con l’occupazione attraverso la partenza dei contingenti più coinvolti.
3. La nuova missione dovrebbe agire solo con strumenti utili al proprio mandato, vietando i bombardamenti aerei, e dando spazio alle operazioni di polizia con corpi ad hoc.
Una missione Onu può tenere aperto lo spazio alla politica che deve costituire la componente più importante di un piano per la pace:
a. l’impegno per una Conferenza internazionale di pace andrebbe accompagnato a un processo per la riunificazione nazionale, senza il quale l’Afghanistan sarà sempre esposto agli appetiti interni e stranieri. E’ necessario negoziare con tutti gli attori in campo. Sarebbe utile una Commissione per la Verità e la Riconciliazione per favorire una riconciliazione fondata sulla giustizia per tutti e tutte.
b. L’impegno per costruire un sistema giudiziario rispettoso dei diritti universali e non sottomesso ai poteri forti dovrebbe essere accompagnato da misure visibili per equità e imparzialità, come una rete di «difensori civici» nelle comunità locali.
c. L’aiuto umanitario dovrebbe essere potenziato, in modo che nessuna vittima si senta abbandonata dalla comunità internazionale. Migliaia sono le persone che hanno abbandonato i propri villaggi a causa della violenza delle diverse parti e che non godono di alcuna assistenza.
d. Sarebbero necessarie misure tese a sottrarre l’economia locale dalle mani dei signori della guerra e dell oppio. E’ necessario rivolgersi direttamente ai piccoli produttori con il microcredito, l’acquisto di oppio a scopo medicinale, il sostegno a produzioni alternative.
e. Fondamentale è il sostegno alla società civile democratica che da decenni è schiacciata dai poteri forti. Un suo rafforzamento naturale non è pensabile: la razionalità è perdente, di fronte al potere delle armi. Aiutare le forze democratiche è la migliore ingerenza umanitaria. Proponiamo dunque un nuovo e più impegnativo modello di intervento, teso a un’accentuata parzialità a favore dei diritti umani. E’ importante però che la situazione non degeneri ulteriormente. Il governo italiano ha deciso di attenersi al mandato Isaf per la ricostruzione uscendo da Enduring Freedom, non aumentando i soldati e non spostando le truppe. Si è impegnato per una soluzione politica della crisi. Ma non c’è spazio per la politica mentre parlano le armi. Il governo chieda alla Nato di interrompere l’offensiva. E si impegni da subito, con la società civile democratica afghana, italiana e internazionale a costruire una proposta di pace forte e condivisa da sottoporre all Onu.

* presidenza nazionale dell Arci