Afghanistan, brutto esempio italiano

Una qualche inquietudine non può non suggerirla la reazione delle componenti politiche di sinistra nel governo Prodi e nel parlamento italiano di fronte alla protesta di parte del movimento pacifista e al no di alcuni esponenti parlamentari alla permanenza tout court delle truppe italiane in Afghanistan, in una «missione» dai contorni ambigui, implicata nella spedizione di guerra americana, senza per altro neppure alcun mandato Onu da quando la Nato, con il suo comando delle operazioni ha da tempo snaturato qualunque iniziale intento di «difesa civile» – se mai si è trattato di questo.
L’inquietudine nasce dall’esercizio di una sorta di ricatto da parte della stessa sinistra politica – segnatamente di Rifondazione comunista – che si unisce al coro di chi taccia «i pacifisti» che continuano a opporsi alla guerra in Afghanistan, come eventuali responsabili – chi in buona fede chi no – di far cadere il governo di centrosinistra. Stupefacente appare infatti – tralsciando beghe interne ai partiti che sicuramente ci sono – il tentativo di imporre al movimento di dimostrare la sua fedeltà al governo «amico», consentendo alle sue decisionii, alle sue scelte «prioritarie».
E’una vocazione questa, da parte della sinistra, che ha un vago sapore totalitario, e sta già cogliendo i suoi frutti velenosi nelle spaccature che riesce a creare dentro lo stesso variegato mondo pacifista, con una parte del movimento che sente il dovere di superresponsabilizzarsi nei confronti di questo governo (di cui non si capisce il rischio di «caduta» sull’Afghanistan, giacché che la missione di guerra riceva in parlamento i voti della destra pare ovvio ed è già avvenuto:: il governo D’Alema per primo li ricevette quando si lanciò nei bombardamenti sulla ex Jugoslavia).
Ciò che più sorprende, e deprime, in questa vicenda italiana, è il reclinarsi sulle anse del proprio nodo ombelicale per un problema, l’Afghanistan e con esso ragione e scopo delle ripetute aggressioni militari dell’«Occidente» che declinano nuovi disegni di potere e spirito neocoloniale, quando la questione meriterebbe uno sguardo più largo, un’analisi più meditata, dubbi più perspicui. Non a caso tutta l’Europa è attraversata dal problema».
C’è un serrato dibattito, ad esempio, nella Spagna che ha i suoi militari in Afghanistan; e in Francia giusto ieri Le monde,non tacciabile di ispirazione anarcoide, ha di nuovo posto la questione: qual è il ruolo delle forze armate francesi all’estero, «mai come oggi così copioso?», e come intende intervenire, «far capire la sua differenza, la sinistra?», si chiede l’autorevole giornale, rimarcando che, in Afghanistan e non solo, «mai sono stati meno chiari i motivi degli interventi, più esigui i risultati, più discutibili le opportunità, più improbabili le ipotesi di uscita dalle crisi».
Quando una qualche forza di sinistra si prenderà la responsabilità di aprire un confronto e un conflitto a livello europeo, sull’Afghanistan, sulle «missioni», e sul ruolo della Nato, sconfessandone lo slittamento da alleanza «difensiva» a meccanismo aggressivo su tutto il pianeta?