Afghanistan, al via la fiducia in senato

Italia, operazione rifinanziamento I nove senatori ribelli voteranno «sì» per salvare il governo. Presenteranno otto ordini del giorno: verifica delle missioni in corso, superamento di Enduring freedom
Sul palcoscenico di Palazzo Madama, aperto il sipario della «fiducia», andrà in scena oggi, con replica domani, la forza del paradosso. Primo atto: approvare con un «sì», in una sessione di due giorni al senato, la nostra presenza militare a Kabul. Secondo atto: in forza di quello stesso «sì» ottenere, a dicembre, il rientro dei nostri militari dall’Afghanistan. Il paradosso balza agli occhi. La sua forza invece ancora no: potremo valutarla solo nei prossimi mesi.
Se davvero a dicembre il governo opterà per la «exit strategy» da Kabul, allora i nove senatori «dissidenti» avranno vinto. Se invece resterà un miraggio, avranno fatto un buco nell’acqua. Nel frattempo, però, possiamo prendere atto che hanno almeno aperto un dibattito in seno al governo.
Intanto il presidente del consiglio, Romano Prodi, fino all’ultimo ha preferito non sbilanciarsi: al termine del question time alla Camera, quando i cronisti gli chiedono se oggi, in senato, la fiducia sarà posta oppure no, lui risponde con il più sibillino dei «vediamo…». Poi precisa: «In questo caso, per la delicatezza del problema, la fiducia può benissimo essere messa. Mi sembra una decisione abbastanza naturale». Infine aggiunge: «La decisione spetterà comunque ai gruppi parlamentari». E infatti ieri s’è tenuto l’ennesimo, lunghissimo incontro tra i capigruppo del senato, per definire le modalità della fiducia. E dall’incontro è arrivato il seguente responso: si tratterà di una fiducia doppia da votare probabilmente in due giorni.
La prima, che sarà posta oggi, riguarda l’articolo 2 del disegno di legge, cioè quello che riguarda l’Afghanistan. La seconda invece, che sarà votata domani, toccherà l’intero provvedimento. Nella mattinata di ieri, invece, le commissioni Esteri e Difesa del senato, in seduta congiunta, hanno espresso il loro parere favorevole al provvedimento. «Un passo molto positivo», ha dichiarato il presidente della commissione Esteri, Lamberto Dini. E la soddisfazione dei dissidenti e dei loro partiti ieri era evidente.
«Nell’Unione abbiamo raggiunto un’intesa – dice la senatrice Manuela Palermi, presidente del Gruppo “Insieme con l’Unione. Verdi-Pdci”. «E’ solo un piccolo passo per intraprendere, fin dai prossimi giorni, un cammino che porti al rientro dei militari italiani. E i piccoli passi per la pace – conclude – spesso richiedono tanti sforzi, non sempre compresi».
Il riconoscimento politico al dissenso arriverà, oltre che dalle parole degli esponenti del governo, presenti oggi in aula, anche dagli otto ordini del giorno (in totale sono 11, tre dell’opposizione) che saranno presentati dai senatori «dissidenti».
«Gli otto ordini del giorno sulle missioni all’estero presentati dai senatori “dissidenti” dimostrano l’efficacia del confronto serrato svolto negli ultimi giorni», ribadisce il capogruppo del Prc al senato, Giovanni Russo Spena. Nel corso della seduta sarà richiesto di «monitorare il traffico di materiale bellico sul territorio nazionale», per esempio, riprendendo l’interrogazione parlamentare, presentata proprio da Russo Spena per capire se, dalla base Usa di Camp Darby, partiranno armi all’indirizzo di Israele. Ma soprattutto, gli ordini del giorno chiederanno di puntare al superamento di «Enduring Freedom», la missione in Agfhanistan guidata dagli Stati uniti. E ancora: di «mantenere distinti, nell’ambito delle iniziative italiane all’estero, gli interventi di cooperazione allo sviluppo, rispetto alle attività di sicurezza e polizia internazionale». I nove senatori chiederanno anche «la verifica dei risultati e dell’efficacia delle missioni internazionali in corso», il «monitoraggio ambientale delle aree interessate da operazioni belliche», nonché la «riduzione di tutti gli arsenali nucleari».