Adjmal assassinato

Il giovane giornalista afghano Ajmal Naqshbandi è stato assassinato domenica alle 12 Gmt dal gruppo taleban guidato dal mullah Mohammad Dadullah, secondo quanto riferito dal portavoce Shahbuddin Atal.
Atal ha detto che il corpo senza vita di Naqshbandi, 25 anni, era stato abbandonato nell’area di Loya Wala nel distretto di Hazarjusft nella provincia meridionale di Helmand. E ha spiegato che la sua morte è stata decisa in seguito al rifiuto del governo del presidente Karzai di negoziare direttamente con Dadullah, secondo l’agenzia indipendente Pajhwok Afghan News (Pan). «Non ha invece saputo dare nessuna spiegazione del perchè è stato ucciso 48 ore prima della scadenza dell’ultimatum» dato al governo per iniziare la trattativa, riferisce l’agenzia.
Naqsbandi era stato sequestrato nel sud del paese il 5 marzo insieme al collega italiano Daniele Mastrogiacomo con il quale lavorava come interprete e all’autista Sayed Agha.
Dadullah aveva detto che i tre erano stati «sequestrati perché entrati nel nostro territorio senza autorizzazione» e per «interrogarli» circa il sospetto che fossero delle spie al servizio delle forze militari britanniche impegnate in un’offensiva contro il movimento integralista musulmano, che controlla la provincia di Helmand. Con queste affermazioni, il leader taleban si riproponeva come un potere politico-militare con il quale negoziare direttamente. Introducendo un elemento nuovo da quando il regime era stata abbattuto, nel novembre del 2001, con l’invasione degli Stati uniti, in seguito all’attacco alle Torri gemelle di New York, con il pretesto di catturare il leader dell’organizzazione accusata dell’attentato, al Qaeda, Osama bin Laden, che viveva in Afghanistan.
Agha è stato decapitato il 13 marzo, Mastrogiacomo liberato sei giorni dopo in cambio del rilascio di cinque dirigenti taleban in carcere a Kabul, mentre il comandante taleban aveva trattenuto Naqshbandi chiedendo poi per la sua liberazione il rilascio di altri tre prigionieri taleban.
Il 2 aprile Dadullah aveva dato un ultimatum di una settimana, che doveva scadere oggi (il 10). Il 4 aprile, giornalisti afghani e italiani avevano inviato una petizione congiunta «ai taleban e in particolare al comandante Dadullah, che tiene prigioniero il nostro collega» affinché liberasse «immediatamente» Naqshbandi visto che «il nostro compito è informare obiettivamente sul processo afghano». La mattina del giorno dopo, il portavoce Atal aveva comunicato all’agenzia Pan che la petizione era stata stata ricevuta positivamente: Dadullah avrebbe distribuito un messaggio registrato e poi avrebbe liberato il giornalista. Poco dopo Atal si erarimesso in contatto con la Pan per trasmettere un messaggio che contraddiceva il precedente: Dadullah non aveva ancora deciso la sorte di Naqshbandi.
Domenica Mastrogiacomo aveva trasmesso un messaggio personale a Dadullah, diffuso attraverso la radio britannica Bbc: «in nome di dio sul quale tanto abbiamo discusso, faccio appello alla sua sensibilità di musulmano e le chiedo di risparmiare la vita al mio amico Ajmal. E’ un giornalista come me. Siamo arrivati pacificamente, muniti solo di carta e penna», ha detto il giornalista nell’appello pubblicato da Repubblica.
«Siamo stati arrestati, fatti prigionieri e mantenuti sul vostro territorio come ostagggi senza aver fatto nulla di male», ha aggiunto Mastrogiacomo, rispettando il linguaggio politico utilizzato dal comandante taleban. «Quando ci siamo lasciati voi mi avete detto che saremmo stati liberati tutti e due» ha detto Mastrogiacomo lasciando intendere che Dadullah non aveva rispettato la sua parola.
Il giornalista italiano era stato liberato dopo che i negoziati avviati dal governo Prodi avevano indotto Karzai ad accettare di liberare i dirigenti taleban indicati da Dadullah. La gestione era stata facilitata dalla mediazione di Gino Strada, presidente di Emergency, che ha costruito tre ospedali e decine di cliniche in Afghanistan, e da Rahmatullah Hanefi, responsabile afghano dell’ospedale di Lashkargah, vicino a Kandahar. Hanefi è stato arrestato dai servizi di intelligence afghani la mattina del 20 marzo, il giorno dopo la liberazione di Mastrogiacomo, da allora nemmeno i suoi familiari hanno potuto vederlo.
Anche Gino Strada si era rivolto domenica a Dadullah. «Emergency e io personalmente facciamo appello alla tua umanità e ai tuoi profondi sentimenti religiosi per chiederti di risparmiare la vita di Ajmal Naqshbandi. La sua liberazione sarebbe un importante gesto di umanità e compassione», ha detto il medico nel testo pubblicato da Repubblica.
La liberazione dei dirigenti taleban era stata immediatamente criticata da politici e parlamentari locali, e dal governo degli Stati uniti, anche se nessuno lo ha fatto mentre i negoziati erano in corso. La settimana scorsa, interrogato a questo proposito, il ministro degli affari esteri afghano, Rangin Spanta, aveva affermato che lui «non avrebbe mai accettato di negoziare con i taleban per liberare terroristi detenuti».
Sabato scorso, parlamentari afghani avevano criticato il governo per la sua «indifferenza» rispetto alla liberazione di Naqshbandi.
Un osservatore a Kabul, che ha chiesto l’anonimato, ha detto all’Ips che la decisione di Dadullah «conferma che non è affiddabile e che non è all’altezza del linguaggio politico che ha adottato» e pensa che «aver assassinato un giornalista afghano danneggerà l’immagine dei taleban» e creerà problemi interni allo stesso Dadullah, «vittima della sua smania di protagonismo e di voglia di conquistare la leadership tra i taleban».
Condannando «senza attenuanti questo assassinio ingiustificabile», il rappresentante del segretario generale delle Nazioni unite, Tom Koenigs, ha detto ieri che «Naqshbanddi rappresentava il meglio dell’Afghanistan di oggi».

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