Addio ad un rivoluzionario

Lo scorso 16 ottobre il compagno Wilfredo Caimmi ci ha lasciati. E’ stato un rivoluzionario e questa parola – difficile da usare – è quella che più di ogni altra, pienamente, lo ritrae, non solo per la sua fulgida storia personale, ma anche – e forse solo chi l’ha conosciuto può capire – per il modo che aveva di rifiutare seccamente l’attuale ed egemone mercificazione capitalistica della nostra vita ( non viveva certo di stenti, tuttavia guai, con lui, a buttare via un pezzo di pane, a fargli notare che la sua giacca era lisa, che le sue scarpe erano quasi a bocca aperta). Nato ad Ancona nel 1925, Wilfredo, da liceale, parte a piedi dalla sua città per andare a combattere i fascisti e i tedeschi, nelle lontane colline di Arcevia. E’ stato uno dei più amati e carismatici partigiani della Resistenza nelle Marche ( quando Alessandro Vaia – il leggendario comandante Alberti, capo della lotta partigiana per il Centro Italia – venne ad Ancona, negli anni ’80, chiese innanzitutto notizie del comandante Rolando, nome di battaglia di Caimmi ) e nel contempo uno dei più duri e temuti – dai nazifascisti – combattenti per la libertà, un partigiano che univa alle insolite capacità di direzione politica una vera e propria maestria nell’arte militare, che gli valse – assieme al coraggio – la medaglia d’argento al valor militare nella lotta di Liberazione, cosa che pochi sapevano, che lui non sbandierava, che occorreva tirargli fuori con le pinze.

Caimmi era un comunista, un leninista, come teneva definirsi; aveva militato nel Pci, aveva lottato contro la svolta della “Bolognina” ed è stato uno dei fondatori – tra i più illustri – del Prc di Ancona e in Rifondazione è stato iscritto sino alla fine, schierandosi fiduciosamente per l’unità dei comunisti.

Ma Caimmi è stato anche una vera e propria rivelazione artistica: improvvisamente, nel 1990, già anziano, ( rielaborando antichi appunti e ricordi) inizia a scrivere, scolpendo una dopo l’altra autentiche gemme letterarie, amatissime soprattutto dai giovani ( romanzi e racconti come

Ottavo Kilometro; Al tempo della guerra; La notte senza topi; Con la pazienza degli alberi millenari; Harlem). A differenza di tanta memorialistica sulla Resistenza (preziosa, ma spesso priva di ambizioni e di afflato letterario) l’opera di Caimmi è letteratura forte, evocatrice e i personaggi dei suoi romanzi – come quelli di ogni scrittore di razza – emergono dalle pagine con una loro particolare densità di carne e spirito. E Caimmi non scrive solo racconti della Resistenza: un vero e proprio capolavoro è La notte senza topi, ove si racconta la dura vita degli operai del Cantiere Navale di Ancona negli anni del secondo dopoguerra, operai comunisti licenziati che diventano – per sopravvivere – contrabbandieri di sigarette e con i soldi guadagnati, “convincendo” i funzionari, ricomprano il loro lavoro e il loro prezioso status sociale e politico di arsenalotti (costruttori di navi) e militanti comunisti in lotta in un punto alto della produzione.

“ Wilfredo, l’uomo indurito dagli eventi e dalla lotta – afferma il compagno Alfonso Napolitano, artista, regista teatrale e anconetano anch’egli – ci ha riservato, negli ultimi anni della sua vita, una sorpresa che ci porta alla mente l’Ernesto Che Guevara della durezza e della tenerezza: ci ha anche consegnato – per darle a qualche editore – delle meravigliose, tenere e delicate favole per bambini”.

Nel 1990 accade un fatto che porta Caimmi alla ribalta nazionale: da un sottoscala della sua abitazione esce acqua; l’idraulico chiamato dal condominio a riparare il guasto sfonda una parete, trovandosi di fronte ad un vero e proprio arsenale militare : erano le armi – fucili, pistole, decine di mauser tolte ai tedeschi, mitragliatrici – che il comandante Rolando, dopo la Resistenza, non aveva consegnato e che aveva invece accuratamente custodito, oleato e tenuto in funzione per 45 anni, forse nell’illusione – all’inizio – che il Vento del Nord e la rivoluzione potessero proseguire e certamente nel tentativo – passati i decenni – che la memoria della lotta non svaporasse.

La giustizia borghese, tuttavia, non può conoscere, né accettare il sogno: Caimmi, a 65 anni suonati, finisce nelle prigioni anconetane e vi rimane chiuso – con la sua salute incerta – per oltre sette mesi. Anche l’Anpi locale non scherza: il comandante Rolando, la medaglia d’argento per la lotta di Liberazione, è espulso “ per detenzione d’armi”.

Poi, tutto si razionalizza: Caimmi – ma dopo la galera – viene da tutti, compresa l’Anpi (che lo riammette nelle sue fila), riabilitato; il suo nome torna di cristallo e il vasto arsenale incidentalmente scoperto viene organizzato ed esposto – per tramandare lo spirito della lotta di Liberazione – nel museo della Resistenza di Falconara, vicina ad Ancona.

La lotta partigiana aveva segnato Caimmi nelle sue più profonde fibre, l’aveva plasmato per sempre; la grandezza di quei valori e il sogno della rivoluzione non erano mai più usciti dalla mente e dal corpo di Wilfredo, che era secco, duro ed essenziale come i suoi pensieri. Severo e di pochissime parole, il vecchio Rolando sedeva – durante le riunioni al nostro Circolo, il “ Gramsci” di Ancona – nell’angolo più oscuro e lontano e negli ultimi anni, quando la discussione prendeva una piega che a lui non piaceva ( quella “vendoliana” del superamento del partito comunista ) improvvisamente – senza che nessuno se ne accorgesse, come un partigiano nella notte – scivolava via, in silenzio. E la sua assenza diveniva di fatto la critica più dura.

Il potere della giustizia l’ha condotto ( per fustigare un sogno) in quella prigionia nella quale nemmeno i fascisti erano riusciti a chiuderlo e quello della Sinistra l’ha mortificato duramente.

Chi l’ha conosciuto lo sa : Caimmi non ha avuto mai paura di tutto ciò e ha proseguito a testa alta la sua vita, dignitoso, sincero e solo con i suoi cani lupo. Poi, tutti, hanno dovuto ravvedersi.

Ciò che oggi chiediamo al nostro giornale, al nostro partito, al suo segretario è di non dimenticarsi di Wilfredo Caimmi, di venire ad Ancona a conoscerlo, a mettere a valore la sua storia di combattente, la sua opera letteraria. Come – anche in virtù della sua inconsueta e silenziosa modestia – egli ha ampiamente meritato.