L’Italia che dice no alla privatizzazione dell’acqua ha mille volti, vive nei piccoli paesi come nelle metropoli. E ha tanti modi di esprimersi, dalla disobbedienza civile alla lotta sindacale, dai lucchetti ai contatori alle mozioni nei consigli comunali e provinciali. Un pezzo d’Italia che si è incontrato nella raccolta di firme per una legge di ripubblicizzazione giunta alla soglia delle 200mila firme: l’acqua è un bene così prezioso che nessuno può utilizzarlo per farne profitto. E quando ciò accade le conseguenze sono aumento dei costi e peggioramento del servizio. La campagna vive a contatto con le conseguenze dirette della privatizzazione.
Accade per esempio ad Aprilia, in provincia di Latina, dove da mesi i cittadini organizzati in comitato invitano i propri compaesani a non pagare le bollette ad Acqualatina, consorzio pubblico al 51%, ma dove i privati fanno il buono e il cattivo tempo. Nelle ultime settimane la società sta facendo di tutto per contattare i cittadini che si rifiutano di pagare le salate bollette, minacciando un illegale taglio delle forniture. Qualcuno comincia a mettere i lucchetti sui propri contatori.
A Gualdo Tadino, paese umbro con 15 mila abitanti, il nemico dell’acqua pubblica si chiama Rocchetta, marca nota per i suoi spot di calciatori e soubrette. Qui la Regione aveva autorizzato l’azienda a sottrarre da tre pozzi, nei pressi del fiume Rio Fergia, 300 milioni di litri d’acqua all’anno senza interferire col bacino prodotto dal fiume, utile ad alimentare gli acquedotti di Gualdo, Nocera Umbra e Fabriano. L’Arpa, l’agenzia regionale per l’ambiente, denuncia però i gravi danni che i pozzi stanno arrecando al fiume, dove nelle scorse settimane è apparso una inquietante patina schiumosa marrone. Anche la portata del fiume è in diminuzione, tanto da costringere l’amministrazione a progettare un nuovo acquedotto per garantire il rifornimento a due frazioni di Gualdo. Contro la Rocchetta si sono mobilitati i cittadini del Comitato in Difesa del Rio Fergia, che la scorsa settimana hanno dato vita a un corteo, su un percorso di 12 chilometri chiedendo all’Umbria (giunta di centrosinistra) di rescindere il contratto.
Che dalla gestione dei privati non venga nulla di buono lo dimostra il caso di Arezzo, tra le prime a privatizzare già alla fine degli anni ‘90. Da allora è divenuta la città dove l’acqua costa di più. Da quando, nel 1999, nasce Nuove Acque, al 46% controllata dalla francese Suez, il prezzo è cresciuto di due volte e mezza, a un ritmo superiore al 6,5% annuo, il massimo consentito dal Piano d’ambito. Tanto che oggi una famiglia di tre persone paga in media 335 euro l’anno. Ma ben poca parte delle salate tariffe viene spesa per migliorare la qualità del servizio. «Secondo il comitato di Vigilanza sulle risorse idriche, del ministero dell’Ambiente, l’Ato di Arezzo è il penultimo per la quota di investimento pro capite», denuncia Stefano Mencucci, segretario provinciale del Prc e tra gli animatori del comitato “atracquapossibile”. Adesso anche l’opposizione di centrodestra, riprendendo una proposta del Prc e di comuni come S.Sepolcro e Anghiani, pare essersi convertito e chiede di considerare la possibilità di rescindere il contratto col partner privato.
Intanto l’Acea, la grande multiutility del comune di Roma, quotata in borsa nel 1998 dall’allora assessore al bilancio Linda Lanzillotta, attuale ministra degli Affari Regionali, festeggia i suoi ricchi utili. Martedì il Cda ha approvato il bilancio, con profitti da capogiro derivati principalmente dalla moltiplicazione delle gestioni nel settore dell’acqua, con la recente acquisizione del servizio nella provincia di Firenze e gli aumenti delle tariffe nell’Ato 5 di Frosinone. Tanto che il settore idrico ormai vale per Acea il 43% del Margine Operativo Lordo, poco meno del 46% derivato dalla gestione e dalla vendita dell’energia. Un’espansione che si tramuta in un aumento dei ricavi del 34%, che sarà convertito in un dividendo di 0,5 euro per azione. Ma rimane alto il rischio per l’occupazione: «Dalla quotazione in borsa sono usciti, tra esuberi o mobilità, oltre 1500 persone, a fronte di solo 600 assunzioni», spiega Fulvio Vescia, dell’Rdb Energia. «In questi giorni si parla di altri 60 in mobilità e molti potrebbero aggiungersi quando sarà acquisita la gestione di tutto l’Ato: ad oggi, infatti, su 112 comuni Acea ne controlla solo 83, ma entro il 2008 dovrà gestire anche gli altri, con l’obbligo di assumere tutto il personale comunale. La conseguenza potrebbe essere una numero elevatissimo di licenziamenti».
Ma la situazione più difficile è nei territori “colonizzati” dall’Acea. Infatti se a Roma le tariffe rimangono basse, è negli Ato di nuova conquista che l’azienda sperimenta un diverso modello di gestione. E’ il caso di Firenze, dove dallo scorso luglio Acea è il partner privato della società dal paradossale nome di Publiacqua, che ha promosso una campagna dall’efficace slogan: “salva la goccia”. Tanto efficace da far scendere da 90 a circa 80 milioni di metri cubi il fabbisogno. Ora, per ripianare il buco di bilancio prodotto dal senso civico dei cittadini, Pubbliacqua si dice costretta ad aumenti dal 7,5 al 9%. «Temiamo che l’azienda sia impegnata in un’operazione di “cosmetica di bilancio”, cioè a far passare per investimenti spese per la manutenzione, in maniera da poter scaricare parte dei costi sulle tariffe. E i lavori di depurazione dell’Arno sono stati fermati», denuncia Luciano D’Antonio, del forum dei movimenti.