Achille Occhetto tentato da Rifondazione comunista

Il leader che volle il cambio di nome del Pci pensa a un’intesa con gli «scissionisti» ora guidati da Bertinotti
ROMA – L’ultimo fugace rapporto con il partito che ha inventato data al febbraio scorso. Congresso Ds, Piero Fassino lo chiama per invitarlo alle assise, lui accetta, ma poi si ritrova confinato nel palco delle delegazioni accanto a Ignazio La Russa. In quell’occasione Achille Occhetto seppe celare amarezza e dispiacere. Anche perché quel che ormai lo divide dalla Quercia non è un grumo di personalissimi rancori (che pure c’è), ma una distanza politica che man mano si è fatta sempre più grande. Tanto da produrre uno di quei paradossi della politica che, a tutta prima, potrebbero stupire. Cioè, il riavvicinamento di Occhetto a Rifondazione comunista. Ossia a quel partito che nacque dalla scissione con la Quercia, contro la svolta dell’allora leader del Pds.

Ma da quell’epoca molte cose sono cambiate. Oggi Occhetto ha spiegato anche pubblicamente, e non solo nei conversari con i più fidati amici, che la situazione è mutata.

Occhetto verso la nuova svolta

«Con Bertinotti, per la sinistra»

Il fondatore del Pds è tentato dall’intesa con Rifondazione comunista «No al riformismo tiepido, Fausto vicino alle idee della mia Bolognina»

Già, quel che è diventata la Quercia assomiglia sempre meno, secondo Occhetto, alla creatura politica che lui aveva immaginato alla Bolognina. Anche per questo – oltre che per il cambiamento radicale impresso a Rifondazione da Fausto Bertinotti – le distanze con gli “avversari” di allora si sono accorciate. «Io – è stato sempre il rammarico di Occhetto rispetto alla Quercia nuova versione – pensavo a una svolta a sinistra e non a questo riformismo tiepido». Perciò adesso l’ex segretario del Pds guarda verso altri lidi. «Non ho problemi – è stato il ragionamento che è andato facendo in questi giorni Occhetto – a ritrovarmi anche con chi in momenti cruciali ha avuto posizioni diverse dalle mie perché tutti dobbiamo sentire il dovere di colmare un’assenza, l’assenza di una sinistra degna di questo nome». E infatti adesso l’inventore della Quercia dice con gran tranquillità che la «svolta» compiuta da Fausto Bertinotti nel suo ultimo congresso «è rilevante». Di più: «Il segretario del Prc – ha osservato l’ex leader della Quercia – ha posto delle questioni che mi sembrano avvicinarsi alle posizioni che, in una diversa visione generale, mi spinsero all’iniziativa che prese il nome della Bolognina».

E il fatto che Occhetto paragoni la sua «svolta» a quella operata dal leader del Prc non può lasciare indifferenti. Del resto, anche Rifondazione versione Bertinotti è molto diversa da quella a cui diede vita Armando Cossutta, dopo che l’ondata occhettiana si era abbattuta sul Pci. Dunque dopo Pietro Ingrao, ecco un altro esponente della Quercia che sembra preferire Rifondazione al suo partito d’origine. Ma, naturalmente, pensare che Occhetto possa aderire al Prc come ha fatto, per esempio, Pietro Folena che, da un giorno all’altro, ha detto addio ai Ds ed è entrato nel gruppo di Rifondazione comunista della Camera come indipendente, sarebbe sbagliato. Senza contare che sarebbe fare un torto a chi inventò la Quercia.

Però la direzione di marcia è quella. E Occhetto ha avuto modo di spiegare più volte quali sono i suoi intendimenti. «La domanda da porre adesso a Bertinotti – è stato il succo della sua riflessione – è se l’innovazione che ha messo nel cantiere del partito, per la quale ha condotto un confronto anche duro con le minoranze, resta un fatto interno oppure si proietta all’esterno». E’ una domanda, ben inteso retorica, a cui l’ex leader della Quercia ha già fornito una risposta: «Io credo che la svolta del congresso dovrebbe essere messa a disposizione di un processo di riorganizzazione della sinistra». Insomma, secondo Occhetto, «sarebbe un errore», per Bertinotti e per il suo partito, non aprirsi all’esterno, anche perché «produrrebbe una grave contraddizione tra le novità strategiche e la struttura organizzata che invece manterrebbe i caratteri del passato».

Dunque, l’idea è quella di una sorta di patto federativo tra partiti, associazioni e movimenti della sinistra. La creazione di quella che, per semplificare, Occhetto chiama «un’area». In questo modo, attraverso il gruppo del Cantiere da lui presieduto, l’ex leader del Pds potrebbe federarsi con Rifondazione, trovare una forma più soft di adesione. Un modo meno indolore di dare l’addio definitivo al suo partito d’origine. Il traguardo finale, comunque, non è stato raggiunto. C’è ancora del lavorìo da fare. E va fatto sotto traccia. Perché è chiaro che l’avvicinamento di Occhetto a Rifondazione non passerebbe inosservato. Né tra i Ds, che ne subirebbero un contraccolpo, né tra le file del Prc, partito, in questo momento, come non mai diviso, e dove gli ex cossuttiani, ancora legati ai vecchi riti comunisti, potrebbero prendere a male l’idea di un’alleanza con colui che abbattè il Pci.

Ma è anche nell’interesse di Bertinotti allargare l’area della sinistra e non ritirarsi dentro la ridotta di Rifondazione. Tanto più dopo il risultato non appagante delle elezioni regionali. «C’è una difficoltà», ha ammesso lo stesso leader del Prc ai suoi. Difficoltà acuita dalle fibrillazioni interne al partito. Visibili soprattutto a livello locale. Nella scelta dei gruppi dirigenti periferici, infatti, Bertinotti è stato costretto a scendere a patti con le minoranze. E’ successo a Torino, per esempio, e accadrà molto probabilmente anche in Lombardia. E’ chiaro quindi che il segretario di Rifondazione che ha finora snobbato gli altri partitini della sinistra, dovrà comunque riallacciare rapporti e creare una “rete”. Ovviamente dopo le elezioni. Partendo da quel che il leader del Prc ha sempre messo al primo posto. Ovvero i programmi. «E i programmi dovranno essere una nostra discriminante», è stato l’avvertimento di Bertinotti ai suoi. Avvertimento che anche Romano Prodi sarà costretto ad ascoltare. E sui programmi tra il leader del Prc e l’ex segretario della Quercia c’è grande sintonia. Come c’è sintonia sull’obiettivo finale di una sinistra che incida sulla coalizione spostandone il baricentro. Bertinotti, come Occhetto, si rende conto che, però, per raggiungere questa meta occorre mettere in campo più forze. Occorre unirle e farle lavorare insieme. Anche perché Rifondazione con i suoi 35-40 deputati rischia di essere ininfluente nella prossima legislatura, se la vittoria di Prodi sarà più ampia.

Ma c’è un modo per evitare questa deriva. Unire la sinistra, per dirla con Occhetto. Bertinotti lo direbbe in altro modo, più prolisso e suggestivo, probabilmente, ma quel che conta è la sostanza. E la sostanza riporta al discorso di Occhetto. Unire la sinistra. Intanto anche quella che c’è in Parlamento. Già, perché oltre ai deputati di Rifondazione comunista ci saranno quelli (una ventina, all’incirca, se verrà rispettata la percentuale congressuale ottenuta da questa componente) del Correntone, poi i Verdi, e, infine, anche quelli del Pdci che saranno costretti a mettere una pietra sopra ai vecchi dissapori con Bertinotti. Una pattuglia di tutto rispetto, una pattuglia che potrebbe effettivamente spostare il baricentro dell’Unione. «Per colmare», come chiede Occhetto, «l’assenza di una sinistra degna di questo nome».

Maria Teresa Meli