Abu Omar, la procura: «Processate Pollari»

Più che sui 26 agenti della Cia che sequestrarono Abu Omar, il processo annunciato dalla richiesta di rinvio a giudizio consegnata ieri mattina dai pm Spataro e Pomarici, ruoterà attorno al ruolo del direttore del Sismi Nicolò Pollari (che decadrà il prossimo 16 dicembre) e dell’ex responsabile della prima divisione Marco Mancini. Forse solo allora salterà fuori il tassello che manca per capire perché le loro versioni dei fatti siano tanto diverse tra loro. E come e quando sia saltato un legame che fino a maggio dello scorso anno – e quindi un anno dopo la prima notizia dell’indagine sul dirigente Mancini – sembrava solidissimo.
Nell’ultimo atto dell’inchiesta, i pm milanesi hanno deciso di selezionare le persone da portare a giudizio e di tagliar via anche il filone sui soldi che sarebbero stati offerti ad Abu Omar per convincerlo a scagionare le due intelligence. Accanto alle quindici pagine di richiesta di rinvio a giudizio per i 26 agenti della Cia e per sette agenti del Sismi, oltre al vicedirettore di Libero Renato Farina e all’ex funzionario Sismi Luciano Seno (accusati di favoreggiamento), sul tavolo dell’ufficio gup della procura di Milano c’è una richiesta di archiviazione per quattro persone: oltre al giornalista Claudio Antonelli di Libero (che ai pm ha detto di non aver mai capito il legame che Renato «Betulla» Farina aveva col Sismi), hanno escluso ogni addebito contro Maurizio Regondi (dirigente «di fatto» del centro Sismi di Milano), Marco Iodice (direttore del centro Sismi di Padova) e persino contro quel Lorenzo Pillinini , direttore del centro Sismi di Trieste, a cui era parso normale vantarsi con i colleghi del fatto che «Abu Omar lo abbiamo rapito noi». Secondo i magistrati, i tre, che pure parteciparono alla riunione del 2002 a Bologna, in cui Marco Mancini spiegò che il Sismi avrebbe dovuto aiutare la Cia a «catturare» Abu Omar, non avrebbero poi collaborato in alcun modo al rapimento.
Non si può dire lo stesso, scrivono i magistrati, né per Marco Mancini nè per Luciano Di Gregori (in servizio presso il centro di Bologna), Raffaele Di Troia (in servizio a Torino) e Giuseppe Ciorra (in servizio a Milano). Stando al racconto di Ciorra, dopo la riunione di Milano Mancini contattò tutti e tre per organizzare il pedinamento di Abu Omar e li spedì a verificare la posizione della moschea di via Quaranta, del centro islamico di viale Jenner e dell’abitazione di Abu Omar. Di Ciorra si trova traccia anche più in là, quando tra il 28 gennaio 2003 e il 2 febbraio alloggia nell’Hotel Principe di Savoia a Milano, ovvero nello stesso albergo in cui dormivano sei degli agenti della Cia che poi avrebbero partecipato al sequestro. Per Mancini il discorso è più complessivo: «ha assicurato – scrivono i pm – l’appoggio di altre persone pur appartenenti al Sismi nella fase di preparazione del sequestro (studio delle abitudini del sequestrando, dei luoghi dove il sequestro poteva o doveva avvenire, del percorso da seguire per trasportare il sequestrato fuori Milano)».
Il tassello mancante tra i racconti di Nicolò Pollari – che sostiene fra le righe di aver ricevuto la richiesta degli americani e di aver respinto tutto al mittente con documenti coperti da segreto di stato – e quelli di Marco Mancini sta proprio lì: in quel che è accaduto tra la riunione di Bologna e quel 17 febbraio 2003 in cui Abu Omar fu sequestrato dagli agenti americani aiutati dal maresciallo del Ros Luciano Pironi. L’avvocato di Mancini Luigi Panella, che ne professa l’innocenza, ha insistito più volte sul fatto che i pm non hanno prove né del passaggio delle informazioni raccolte dal Sismi alla Cia, né di rapporti diretti con Robert Seldon Lady visto che dalle telefonate di quest’ultimo non risulta nessun contatto «e non sono stati trovati né piccioni viaggiatori né pizzini». Eppure chi conosce l’intelligence italiana ricorda bene le battute sugli agenti italiani che «i cellulari li buttano», non come quelli della Cia beccati, appunto, grazie alle intercettazioni. O le preoccupazioni che giravano ben prima di giugno scorso sugli ottimi rapporti tra Mancini e l’intelligence americana.
La notizia della richiesta per il direttore del Sismi è stata accolta con freddezza da palazzo Chigi. Si è sbilanciato solo il ministro dell’interno Giuliano Amato con un fermo: «Me l’aspettavo». Silvio Berlusconi che con Pollari ha sempre avuto un ottimo rapporto ha espresso tutto il suo sdegno: ««Il generale Pollari ha combattuto il terrorismo come pochi e in prima linea, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti gli italiani. Chiediamo al governo cosa intenda fare per proteggere coloro che come Pollari si sono battuti contro i terroristi, a tutela del buon nome della nostra intelligence e del prestigio internazionale dell’Italia». Una presa di posizione che ieri costava davvero poco.