Commentare le sentenze della Corte costituzionale non è facile, ma non ci sono dubbi che venerdì la Consulta ha emesso una sentenza sbagliata (non solo socialmente), dichiarando illegittimo l’articolo 7 della legge 431 del ’98, in quanto in contrasto con il primo comma dell’articolo 24 della Costituzione. Un colpo di spugna che rende felici gli evasori fiscali proprietari di abitazioni (e sicuramente il governo, che grazie alla Corte costituzionale eviterà di dover modificare a danno degli onesti una legge che non gradiva), ma che getta nella disperazione migliaia di inquilini sotto sfratto. Con la decisione della Corte, infatti, viene stabilito il principio che “il fisco non limita gli sfratti”, per dirla con il titolo de Il Sole-24 ore.
Diritto di proprietà, tutela dei diritti e onestà fiscale erano i punti sui quali doveva pronunciarsi la Corte, chiamata in causa da un giudice del Tribunale di Firenze. Con una premessa: circa il 50% degli affitti è in nero, sottratto all’imposizione fiscale, uno degli obblighi previsti per i cittadini (articolo 53 della Costituzione). La legge del ’98 prevedeva che il proprietario di una abitazione non avrebbe potuto vedere accolto lo sfratto di un inquilino (anche moroso), senza dimostrare di essere in regola con il fisco. Ovvero con il pagamento dell’Ici e dell’Irpef. Si tratta di una limitazione del diritto di proprietà?
A stare all’articolo 42 della Costituzione, non sembra proprio. Il secondo comma specifica, infatti, che la legge regola i modi di acquisto, di godimento e i limiti della proprietà allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessile a tutti. Uno dei limiti è sicuramente quello fiscale: chi froda il fisco, impoverisce l’erario e impedisce che gli onesti possano avere accesso alla proprietà. O, se non proprio alla proprietà, a abitazioni che lo stato e gli enti locali dovrebbero mettere a disposizione dei meno abbienti, grazie all’erario. L’attenzione della Consulta, invece, si è tutta focalizzata sul primo comma del’articolo 24: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”. E l’interpretazione che ne è stata data (e che ha portato a dichiarare illegittima la norma del ’98), è che in giudizio non ci possono essere ostacoli che limitino diritti e interessi. Ma la regolarizzazione del diritto di proprietà, che fine fa?
Va in fumo, naturalmente: la Corte riconosce solo e esclusivamente la proprietà e i diritti dei proprietari. E non i doveri costituzionalmente dettati. Il risultato è gravissimo: è il trionfo dell’evasione, del ricatto agli inquilini che per avere in affitto un’abitazione dovranno accettare contratti in tutto o in parte in nero. Ma che non avranno difese quando il proprietario vorrà, a suo gradimento, cacciarli di casa. Di più: chi ha dato case in affitto rispettando la legge, registrando il contratto e pagando le tasse, farà la figura del fesso. Pronto però a farsi furbo e a diventare evasore fiscale. Paradosso finale: la forza pubblica viene pagata con le tasse di tutti. Ora dovrà eseguire sfratti a difesa della proprietà di chi non le paga. Grazie alla Corte.