«Abbiamo visto l’inferno in terra»

Ha perso la vita alla dodicesima ora di lavoro Antonio Schiavone, 36enne sposato e padre di due bambine di 4 e 6 anni e di un maschio nato appena due mesi fa. E’ rimasto investito da quella che i colleghi inorriditi definiscono un’onda anomala di olio bollente, sprigionatasi dopo la rottura di un tubo flessibile che si è improvvisamente trasformato in lanciafiamme a causa del surriscaldamento di un motore. La tragedia è avvenuta poco dopo l’una di notte nel reparto trattamento termico della Thyssenkrupp, sul cosiddetto treno di laminazione. Secondo le prime ricostruzioni dei vigili del fuoco intervenuti, è probabile che le scintille sprigionate vicino alla vasca d’olio abbiano contribuito a innescare una fragorosa fiammata, ulteriormente favorita dalla presenza sul pavimento di carta e stracci. Secondo un’altra ipotesi, sarebbe scoppiato un incendio che ha coinvolto un macchinario per la lavorazione dell’acciaio: gli operai avrebbero cercato di spegnere le fiamme prima con un estintore poi con una manichetta dell’acqua che, a contatto con l’idrogeno liquido e l’olio refrigerante del macchinario, avrebbe provocato una fiammata che ha investito gli operai. Il fatto che la sede dei vigili del fuoco sia situata proprio in corso Regina Margherita, a pochi metri dall’acciaieria, con ogni probabilità ha permesso di salvare la vita degli altri nove lavoratori coinvolti. Due operai versano in condizioni disperate, con ustioni di terzo grado sul 90 per cento del corpo, mentre in tre sono stati subito dimessi perché semplicemente intossicati dal fumo.
Uno dei vigili del fuoco che compongono la squadra d’emergenza all’interno dello stabilimento riferisce che «l’allarme non è suonato: il perché è uno dei tanti misteri della fabbrica». Il pompiere si rende conto della presenza delle fiamme soltanto sentendo parlare via radio due sorveglianti di un incendio, ma senza riferimenti a feriti gravi. Rincarano la dose i lavoratori che per primi hanno cercato di aiutare i colleghi imprigionati dalle fiamme: «Tre dei cinque estintori non funzionavano» commenta Fabio Simonetta, uno dei lavoratori dimessi che si è poi precipitato di fronte all’ingresso della fabbrica, presidiata dagli operai intenzionati a non entrare nello stabilimento. Giovanni Pignalosa aggiunge: «Mi hanno chiamato e sono corso subito: ho visto l’inferno, una scena tremenda. Antonio era avvolto nelle fiamme e gridava: aiutatemi, muoio! Purtroppo era impossibile avvicinarsi e tirarlo fuori». Chi era presente nel reparto laminatoio al momento dell’incendio ha impresso nella mente le immagini degli operai in mezzo al fuoco, tre in piedi e due a terra. Giuseppe si mette le mani al capo, ricordando che «erano quasi completamente carbonizzati, irriconoscibili: nelle orecchie ho ancora le loro urla». Un altro lavoratore quasi si schermisce: «Mi vergogno a usare espressioni che si usano solo nei film, ma ho visto davvero una torcia umana». La testimonianza più accorata è quella di Ciro Argentino, delegato Fiom dello stabilimento, il migliore amico della vittima. Ancora non si capacita del dramma occorso «proprio ad Antonio, un ragazzo competente con una professionalità costruita nell’arco di dodici anni di lavoro». Fabio Carletti pone l’accento sulla circostanza che lo stabilimento era in smobilitazione, dopo che l’ accordo sottoscritto lo scorso luglio aveva sancito la decisione della Thyssenkrupp di trasferire le produzioni a Terni. Anche alcuni lavoratori torinesi si trasferiranno in Umbria per seguire il lavoro: un sacrificio amaro e impensabile fino a qualche anno fa, dato che in molti casi sono figli di coloro che hanno deciso di prepensionarsi proprio per garantire loro «un posto sicuro». Per questa ragione l’età media degli operai è molto bassa. Sbotta Giorgio Airaudo, segretario generale Fiom di Torino: «Non si può e non si deve morire per lavorare, per avere un reddito: è incredibile. Questo dramma è particolarmente grave: avviene in un’azienda che sta chiudendo lo stabilimento, prendendo gli ultimi spazi produttivi, ed è passata in pochi mesi da 400 addetti a circa 200. La sosta produttiva era stata alimentata per esigenza dell’impresa e per un ritardo dei trasferimenti a Terni: mancavano molte funzioni, ai lavoratori sono stati chiesti straordinari».
Per quanto riguarda le cause dell’incidente, il sindacato si affida alla magistratura, ma Airaudo insiste nel ricordare che gli infortuni e le morti sono evitabili, perché «quel che è evidente è che si è chiesto ai lavoratori di restare al chiodo fino a dodici ore (e l’hanno fatto). Deve venir fuori un’ipocrisia nazionale: dobbiamo cominciare a dire che la concausa principale di questi infortuni e di queste morti è la richiesta d’orario aggiuntivo ai lavoratori con straordinari e giornate in più: se vogliamo prevenire infortuni e morti bisogna anche avere orari giusti e salari adeguati, in modo tale che le persone non possano essere ricattate. Vanno bene le leggi e le ispezioni, ma non si possono trasformare gli esseri umani in merce». Dall’inizio dell’anno il prezzo pagato dal Piemonte è rappresentato da 72 morti e 55mila feriti: per lunedì i sindacati hanno convocato uno sciopero generale perché – conclude Airaudo – «vogliamo dire basta, vogliamo che tutti si fermino a riflettere. Le morti sono eliminabili, per le conoscenze e le tecnologie di cui disponiamo. Bisogna farlo, per non sacrificare tutto al produttivismo, al consumismo sfrenato che cancella gli esseri umani».
Quanto all’individuazione dei responsabili dell’incidente, titolare dell’indagine è il pm Laura Longo, componente del pool di magistrati coordinato dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello: un’ora dopo la tragedia ha effettuato il primo sopralluogo alla Thyssenkrupp, in compagnia di due consulenti della Procura, in attesa di ascoltare i primi feriti dimessi dagli ospedali. Il fascicolo è aperto contro ignoti e i capi d’imputazione ipotizzati sono omicidio colposo e lesioni colpose gravissime. Il procuratore capo Marcello Maddalena trasmette tutta la vicinanza della magistratura quando definisce l’incidente mortale «un infortunio devastante: non ne ricordo di queste dimensioni». E l’amarezza che si respira al Palagiustizia è riferita anche all’iter giudiziario legato al processo che vede dirigenti e responsabili della sicurezza Thyssenkrupp condannati in primo grado per incendio colposo, con due patteggiamenti. L’incendio avvenne quattro anni fa e in quell’occasione prese fuoco una vasca d’olio ma non ci furono né morti né feriti. L’azienda ha fatto ricorso in appello ma non è ancora stata fissata l’udienza: è concreto il rischio prescrizione.