Rapporto shock dell’esercito Usa: i prigionieri morti tra Iraq e Afghanistan sono 108
Una corte marziale di Fort Hood, nel Texas, ha condannato ieri il soldato statunitense Jack Saville a quarantacinque giorni di carcere e dodicimila dollari di risarcimento per aver gettato nel Tigri due prigionieri iracheni, uno dei quali sarebbe annegato. Il condizionale è d’obbligo, perché la riesumazione del cadavere del 19enne Zaidoun Hassoun, disposta per accertare il motivo del decesso, non è mai avvenuta, per «motivi di sicurezza». Per Saville – che dopo aver patteggiato la pena rischiava un massimo di due anni di galera – ha parlato il suo avvocato, Frank Spinner, al quale la clemenza del giudice militare Theodore Dixon quasi non è parsa vera: «Non posso certamente lamentarmi di questa sentenza», ha dichiarato ai cronisti. Zaidoun, fu gettato nel fiume a Samarra assieme a suo cugino Marwan Fadil nel gennaio 2004: entrambi avevano osato violare il coprifuoco in una delle città dove più accanita è la resistenza agli occupanti. Marwan ha raccontato durante il processo che mentre Zaidoun precipitava nelle acque gelide del Tigri i soldati (un commilitone di Saville è stato precedentemente condannato a sei mesi per lo stesso episodio) si fecero una grossa risata.
La pena simbolica inflitta al soldato Saville è arrivata proprio nel giorno in cui il New York times ha riportato i risultati di un’inchiesta militare sugli «omicidi» di prigionieri in Iraq e Agfhanistan. Ventisei detenuti morti dal 2002, il numero più alto mai ammesso dagli americani dall’inizio della cosiddetta «guerra al terrorismo» che, partita con l’invasione della Kabul del taleban nel novembre 2001, ha portato il suo bagaglio di torture e assassinii fino alla Baghdad di Saddam Hussein. Sono state la marina e l’esercito statunitensi che – dopo una serie d’inchieste – hanno fornito questa cifra. Il quotidiano newyorchese sottolinea che sono una delle morti accertate «è avvenuta nel carcere iracheno di Abu Ghraib – come hanno riferito i funzionari Usa – il che dimostra quanto ampiamente siano diffusi, al di fuori di quel penitenziario di Baghdad, i casi di abusi più violenti». «Questo fatto – continua il Nyt – contraddice le precedenti versioni secondo le quali gli abusi erano opera di un risstretto gruppo di membri della polizia militare del turno di notte di Abu Ghraib».
Il portavoce del Pentagono, Lawrence Di Rita, ha dichiarato di non aver ancora visto i rapporti dell’esercito e della marina, ma ha sottolineato come negli ultimi tre anni e mezzo gli americani abbiano tenuto prigioniere nei due paesi oltre 50.000 persone. Come dire che 26 omicidi su 50.000 prigionieri ci possono anche stare. Il termine «omicidio» usato dall’inchiesta dell’esercito per i militari indica «una morte che risulta dal comportamento intenzionale o imprudente di una persona o di un gruppo». Secondo l’esercito, le uccisioni dei prigionieri hanno avuto luogo sia all’interno che all’esterno dei penitenziari, in questo secondo caso quasi sempre al momento della cattura, avvenuta in contesti di scontri armati. In totale però i prigionieri morti dietro le sbarre della «guerra al terrore» sono almeno 108, così divisi: 26 casi indagati come omicidi, alcuni dei quali a seguito di torture; 29 attribuiti a sospette cause naturali o incidenti; 22 per il lancio di colpi di mortaio da parte della resistenza contro Abu Ghraib nell’aprile 2004; 20 «omicidi giustificati», cioè perpetrati contro prigionieri in rivolta o che tentavano di evadere.
Una situazione che, secondo le organizzazioni per la tutela dei diritti umani, è rimasta in gran parte impunita o, meglio, per la quale hanno pagato solo soldati che hanno funto da capri espiatori per proteggere gli agenti del servizio segreto Cia che sovrintenderebbero alla «fabbrica delle torture». Secondo John Sifton, che si occupa di Afghanistan per Human rights watch, «lo scandalo delle torture non mostra alcun segno di ridimensionamento». «Quasi ogni giorno – ha scritto Sifton sul settimanale the Nation – emergono nuove accuse di maltrattamenti di prigionieri da parte di militari americani e agenti della Cia». Ma secondo l’organizzazione statunitense di difesda dei diritti umani, agli agenti segreti Usa sarebbe garantita una sostanziale impunità «nascondendo il loro coinvolgimento dietro prove classificate». In questo modo si è potuti arrivare al punto che «la maggior parte dei soldati implicati se la stanno cavando con pene irrisorie, mentre nessun agente della Cia è stato finora processato».