«Abbiamo già dato» Voto operaio in fuga

Torino non è più la città grigia del secolo scorso, caricata come una sveglia sui tempi della sirena Fiat, 6-14 il primo turno, 14-22 il secondo e 22-6 il notturno, il turno dei «pipistrelli» che poi sono gli operai a cui tocca quella pena. Oggi Torino è colorata, vissuta nei caffé all’aperto fino a tarda sera, poliedrica, non più monoculturale. La Fiat c’è ancora, pesa decisamente meno sulla città e i modi di vivere dei suoi abitanti ma sembra ormai fuori da una crisi che rischiava di essere senza ritorno. Il Lingotto torna a costruire eventi, l’ultimo il lancio in mondovisione della nuova Cinquecento sulle acque del Po. L’era Marchionne ha però poco a che fare con la Fiat di Valletta, o di Romiti, e Torino racconta oggi un’altra storia. Con qualche continuità. Gli operai seguitano a lavorare in fabbrica con gli stessi turni, lo stesso stress e la stessa fatica di sempre. Anzi, le nuove metriche del lavoro aumentano la produttività con il taglio dei tempi morti, spremendoli ancora di più. Gli operai escono poco in città, sono meno riconoscibili o forse meno riconosciuti, almeno come soggetto collettivo. Un’altra continuità con il passato è il colore della città, rosso si sarebbe detto una volta, piuttosto sorda al canto delle sirene berlusconiane e bossiane. Una enclave, in un nord smottato a destra: qui gli operai alle ultime elezioni hanno votato per il centrosinistra o decisamente a sinistra, a differenza della Lombardia e gran parte del Piemonte. Gli operai hanno tenuto perché c’è ancora la sinistra, oppure la sinistra ha retto perché ci sono gli operai? Dipende dai punti di vista. Ma soprattutto, resisterà questa diversità alle prossime elezioni? Siamo andati sotto la Mole a cercare qualche risposta tra gli operai e i candidati nelle liste «non di destra». A Mirafiori, alla Bertone, alla ThyssenKrupp.
«Potevate pensarci prima»
Il luogo storicamente più difficile è Mirafiori. Un invaso di 15 mila donne e uomini per i quali poco è cambiato da un punto di vista dello sfruttamento, ci si passi il termine. Età media sui cinquant’anni, solo da qualche mese i giovani ricompaiono in officina, dopo la crisi che aveva spopolato e invecchiato la fabbrica. Mirafiori è salva, ma chi la popola è usurato, stanco, sfiduciato, non si sente rappresentato politicamente e anche i sindacati qui hanno vita grama. I confederali vengono fischiati, gli accordi e i contratti bocciati. Resta una rete di delegati che più che rappresentare gli interessi dei gruppi omogenei, ci si passi anche questo rimando al passato, portano in fabbrica la linea della sigla d’appartenenza. Regge la Fiom «perché diciamo agli operai la verità e decidiamo sempre insieme a loro», spiega Giorgio Airaudo, segretario torinese. E regge una pluralità di sigle, Fim, Uilm, Fismic, Ugl, Cobas, ma tutte insieme non hanno più l’egemonia tra i lavoratori. Pochi partiti, almeno finora, sono venuti alla mitica porta 2 a parlare con gli operai, a fare «campagna». Quei pochi sono ignorati, accolti con freddezza. Chi si ferma al cambio turno ribatte ai leader politici della Sinistra Arcobaleno che propongono l’abolizione della legge 30 e il superamento della precarietà: «Perché non l’avete fatto quando eravate al governo?». Sui lavori usuranti questi operai usurati sanno tutto, e sono incazzati. Sanno tutto sugli scalini pensionistici di Damiano, e sono incazzati. Hanno votato contro al referendum sul protocollo «che è stato fatto solo per legittimare un governo screditato», mi dicono in molti. «Paradossalmente – dice Airaudo – sarebbe stato più semplice se il governo fosse caduto sulle questioni sociali». Cioè da sinistra. Qui ogni sciopero è una scommessa, l’ultimo, di un’ora per la sicurezza dopo la morte di un operaio a Melfi è andato male. Dulcis in fundo, conseguenza logica della solitudine e delle delusioni, gli iscritti a Rifondazione sono meno di 10, il Pd non esiste e i Ds erano ridotti a poche decine di tesserati. Qualcuno sta con la Sinistra critica di Turigliatto, come il delegato Fiom e candidato Pasquale Loiacono che parla di «voto frantumato in un clima negativo. Sarà forte l’assenteismo. All’inizio può aver funzionato l’appello di Veltroni al voto utile, ma mettendo in lista Calearo e Colaninno hanno esagerato. I lavoratori non si fermano a parlare, rimarcando una forte distanza dalla politica, sono delusi anche dalla Sinistra Arcobaleno e a Giordano non glie l’hanno mandata a dire. Noi, non so come andremo. Battiamo le fabbriche, i movimenti, la Valle Susa. Vedremo».
«Quel che so è quel che mi dicono i nostri delegati che con gli operai hanno un rapporto continuo. Mi parlano di polarizzazione – racconta il segretario della Quinta lega Vittorio De Martino – e la propaganda del Pd sulla semplificazione qualcosa raccoglie. Secondo, i voti che alle ultime elezioni si erano spostati da destra a sinistra torneranno a casa, più a Berlusconi che alla Lega. Sapessi quanti, dopo i due anni di governo Prodi, ti dicono: “Non me ne frega più niente della politica” e aspettano la pensione che si allontana nel tempo. Non è facile fare sindacato in queste condizioni».
Più che in passato, «Mirafiori voterà a destra». Lo pensa anche Airaudo, pur sottolineando un lieve miglioramento del clima per la Sinistra nelle fabbriche torinesi, mano a mano che la campagna elettorale entra nel vivo e la novità di Veltroni «si palesa per quel che è, puro marcketing. Ha messo in lista tutto e il suo contrario, capitale e lavoro, strumentalizzando la tragedia della ThyssenKrupp. Il lavoro è usato per fini elettorali e questo spingerà un po’ di operai a turarsi il naso e votare Sinistra. La sinistra paga il mancato radicamento: in una città come Torino non sai più dove trovarla, la sinistra, non ci sono luoghi. E il sindacato si riduce troppo spesso a una polizza di assicarazione nelle innumerevoli crisi. Crisi aziendali, mobilità, cassa integrazione occupano l’80% del mio lavoro. So tutto sulle leggi fallimentari, ma qual è il progetto che abbiamo? Credo che alla fine tra gli operai la Sinistra avrà un buon risultato, ma poi avrà pochi mesi di tempo per costruire davvero un soggetto politico unitario. Altrimenti scomparirà». E passerà l’idea che non è più tempo di rappresentanza politica dei lavoratori.
Il meglio è alle spalle
Insomma, il meglio è alle spalle, come diceva Flaiano? Mirafiori è un caso a sé, qui tutto è estremo nei momenti alti e in quelli bassi del conflitto. Se la sinistra ti delude voti a destra, perché a sinistra c’è una realtà che fa schifo e a destra c’è un sogno. E’ come se le tute blu ti dicessero: «Vuoi farmi smettere anche di sognare?». Per questo vincerà la destra, complice una tentazione diffusa a sinistra ad astenersi. I quadri sindacali degli anni Settanta, qui, non hanno passato – sono stati cacciati prima – il testimone. La memoria di una fabbrica troppo vecchia rimanda a una sconfitta storica. Ma anche dove le cose vanno meglio, nelle fabbriche dove l’età media è più giovane, nella Stalingrado torinese che è la zona di Collegno, fatta di tante medie e piccole fabbriche che sono il tessuto connettivo della Fiom, il voto che andrà a sinistra, o comunque non a destra, sarà un voto d’opinione che prescinde dalle condizioni materiali di vita e lavoro che neppure la sinistra ha saputo o voluto migliorare. Un voto affettivo.
Alla Bertone si resiste
La Bertone è una prestigiosa carrozzeria dove gli operai sono in lotta da anni contro contro la chiusura voluta da una famiglia di padroni spaccata da lotte intestine. Si cercano acquirenti per non mandare in malora un’esperienza industriale e sociale importante. Qui c’è una classe operaia giovane su cui le teorie veltroniane sulla fine della lotta di classe fanno poco breccia, e se avessero fatto breccia, mi suggerisce un «resistente» della Bertone, «questa fabbrica avrebbe già chiuso. Qui il passaggio generazionale del testimone c’è stato. E c’è ancora una «comunità», alle assemblee partecipano 7-800 operai. Pino Viola, delegato Fiom, è candidato per la Sinistra Arcobaleno. «Siamo presi da mille problemi, non ultimo il recupero crediti», cioè stipendi arretrati e Tfr. «Qui non ci sono grossi problemi per la Sinistra e il Pd, ma si tratta di una realtà particolare. I richiami alla semplificazione politica sono poco ascoltati, forse perché siamo dentro una grande battaglia per salvare l’azienda e il nostro lavoro, c’è partecipazione, si discute e il tradizionale voto a sinistra dovrebbe essere confermato. Credo anche che la mia candidatura abbia un ruolo positivo. In altre fabbriche trovo più freddezza tra gli operai. Pesa l’amarezza per le aspettative deluse dal governo che ha dato agli imprenditori i benefici dello scudo fiscale mentre a noi è rimasto il dramma della quarta settimana. Mi ripetono in tanti che il governo ha sposato le teorie della Confindustria: per avere i salari detassati dobbiamo fare gli straordinari, per guadagnare di più dobbiamo lavorare più ore». Viola viene dal Pci, poi una sola tessera Ds nel Correntone. Dopo la scioglimento dei Ds nel Pd ha scelto Sinistra democratica «per costruire una forza unitaria che rappresenti in Parlamento un punto di riferimento per i lavoratori. E’ ora di finirla con le liti a sinistra, proprio nel momento in cui Pd e Pdl chiedono il voto su programmi fotocopia. Se perderemo questa sfida aiuteremo il processo di americanizzazione». Viola è favorevole alla candidatura di operai nelle liste di sinistra, o meglio non di destra, purché, aggiunge, non si riducano a fiori all’occhiello: mi interessano i programmi e l’impegno delle forze politiche sui temi nostri, che siano al governo o all’opposizione. Devo dire che per noi faceva di più il Pci all’opposizione che nostri al governo. Io mi ritengo un candidato di servizio, in una battaglia democratica per impedire che la sinistra scompaia dalla scena».
Antonio e Ciro
La ThyssenKrupp, con la sua tragedia e i suoi candidati – Antonio Boccuzzi per il Pd e Ciro Argentino per la Sinistra Arcobaleno – è una storia a sé. La racconteremo nella prossima puntata. (1/continua)