Dottore in matematica, fondatore dei Verdi francesi, ex vicepresidente dell’Assemblée Nationale, ex ministro dell’ambiente del governo della “gauche plurielle” di Lionel Jospin. Yves Cochet occupa da 30 anni la scena politica francese; oggi è uno splendido sessantenne, abbronzato e “charmeur” deputato e saggista di successo: i suoi lavori, “Salvare la terra” (2003) e “Apocalisse petrolio” (2006) parlano di decrescita, consumo responsabile dell’energia, di solidarietà sociale.
Troppo eccentrico e introdotto per fare l’altermondialista, troppo “radical” per diventare un gregario riformista, Cochet è attivo anche sul fronte dei diritti civili, il suo nome è legato a iniziative spesso provocatorie. Come quando mise 576 spinelli nella cassetta delle lettere dei deputati dell’Assemblea per chiedere la legalizzazione delle droghe leggere e il diritto all’autoproduzione. Un po’ Pannella, un po’ Jack Lang, il ministro della cultura di Mitterand emblema della sinistra chic.
Lo incontriamo tra i banconi del mercato della rue Daguerre, 14esimo arrondissement di Parigi (il suo colleggio elettorale), mentre distribuisce (a dire il vero senza slanci particolari) il programa di Dominique Voynet, la candidata dei Verdi all’Eliseo. E’ consapevole che madame Voynet (che lo ha sconfitto alle primarie interne) non ha alcuna chance di varcare la soglia del primo turno, anzi, i sondaggi le riservano il minimo storico: a lei come agli altri quattro cavalli solitari della sinistra radicale, arrivati in ordine sparso ai blocchi di partenza: «Un occasione mancata».
Un capannello di simpatizzanti e curiosi lo circonda, molti lo riconoscono e lo salutano da lontano. Si discute di politica ovviamente, ma il ritornello è monocorde, il binomio sempre lo stesso: Sarkozy-Royal. L’effetto per un osservatore esterno è quasi claustrofobico, per i francesi è invece un passaggio obbligato, l’imbuto repubblicano dove gli elettori dovranno trovare il giusto compromesso tra i loro desideri e la realtà. Seguendo uno spartito noto da tempo: la paura, ai limiti dell’irrazionale, che suscita Sarko e le reali chance, la reale consistenza di Royal: «Quasi tutte le persone che conosco voterano “utile”, voterano Ségolène», dice una donna sulla quarantina ex elettrice verde. «Nessuno è pazzo di Ségolène, ma tutti temono Sarkozy come la peste, stanne sicura», aggiunge un ragazzo che si dichiara con orgoglio «militante socialista». Dietro di lui una ragazza accusa di «maschilismo» i media e la classe politica, che hanno trasformato la candidata del Ps in una «caricatura». Cochet sorride e annuisce, tanto da suscitare la netta impressione che, nel segreto dell’urna, Ségolène, in fondo, la voterà anche lui fin dal primo turno. In ogni caso non sembra affatto pessimista sugli esiti del voto.
Com’è la campagna presidenziale vista dall’interno?
Nonostante il carattere fortemente mediatico di queste elezioni, i personalismi, i programmi che a volte sembrano sfuggenti, lo zapping elettorale, si percepisce una grande partecipazione, la gente segue i dibattiti, si appassiona, si divide sul futuro della Francia. C’è un clima molto diverso rispetto alla campagna del 2002, allora si respirava un’aria di sfiducia e rassegnazione, si viveva in un’atmosfera di apatia politica e democratica. Non a caso si registrò il picco negativo di affluenza alle urne in un’elezione presidenziale. Domenica i votanti sarano molti di più, l’aumento degli iscritti nelle liste elettorali è un segnale inequivocabile.
Non c’è il rischio che Le Pen passi il turno come cinque anni fa, approfittando delle divisioni a sinistra?
No, assolutamente no. Abbiamo imparato la lezione del 21 aprile e sono certo che stavolta Le Pen non passerà il primo turno, prenderà molti voti, ma non passerà. Non è immaginabile per il Paese un ballottaggio Sarkozy-Le Pen: oltre a disegnare un quadro catastrofico, sarebbe uno scenario che non corrisponde alla realtà sociale e politica della Francia. Il corteggiamento indecente dei voti del Front National da parte di un Sarkozy che vuole sfondare a destra, sarà un boomerang, vedrete. Al limite è più concorrenziale Bayrou, anche se il suo centrismo alla fine rischia di avere poca sostanza, di apparire come una posizione strumentale per guadagnare il consenso degli indecisi.
Cosa pensa della proposta di Michel Rocard, che prefigura un accordo Bayrou-Royal a partire dal primo turno per sbarrare la strada a questa destra minacciosa?
Che è giunta o troppo presto o che è giunta troppo tardi. In ogni caso è una proposta intempestiva. Per quel che riguarda le presidenziali non mi pare una trovata geniale, rischierebbe di deprimere entrambi gli elettorati che al primo turno hanno bisogno di punti di riferimento chiari, non di intese ambigue e politiciste. Certo, a giugno ci saranno le elezioni legislative e in alcuni casi ci potrebbero essere delle convergenze, delle desistenze contro la destra dura ma, lo ripeto, un’alleanza strutturale tra socialdemocratici e cristiano-democratici non è all’ordine del giorno e non mi sembra neanche così auspicabile nel lungo termine. Allo stesso tempo sono convinto che in Francia ci sia bisogno di una nuova sinistra che superi i blocchi e i tabù tradizionali, che sappia rispondere con più efficacia alla crisi sociale alle sfide ambientali.
Tra i grandi assenti nel dibattito figura la politica estera, vera e propria Cenerentola della campagna.
E’ vero, la gente preferisce interessarsi alla questione franco-francese, gli elettori sono preoccupati da quel che accade nella loro esistenza quotidiana, dalla disoccupazione, dai salari bassi e i prezzi alti, dalla qualità della vita. Lo so che sembrerà poco elevato, poco intellettuale, ma sono questi i temi che fanno vincere o perdere le elezioni.