Alla vigilia del quarto anniversario della guerra all’ Iraq, e nel quarantesimo anniversario della grande marcia contro la guerra del Vietnam, tra 20 mila e 30 mila pacifisti hanno ieri tenuto una massiccia dimostrazione di protesta davanti al Pentagono. Accolti dal grido «Impeach Bush», incriminate Bush, e «Bring the troops home», portate le truppe a casa, decine di oratori si sono susseguiti sul palco: tra di essi Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto ferita a Bagdad quando fu ucciso il suo liberatore Nicola Calipari, Cindy Sheehan, «madre coraggio» e nemesi di Bush, l’ anziano ex ministro della Giustizia Ramsey Clark, uno dei difensori di Saddam Hussein; e Jonathan Hutton, un sottufficiale della Marina tuttora in servizio. Il presidente non era alla Casa Bianca, ma alla radio da Camp David ha sollecitato il Congresso ad approvare i fondi per l’ escalation della guerra, minacciando di opporre il veto a qualsiasi modifica della sua richiesta. Per 24 ore, dalle preghiere dei dimostranti venerdì sera nella Cattedrale di Washington, la maggioranza dell’ America ha rivissuto le storiche giornate del ‘ 67, nella speranza di rinnovare la svolta di allora per la pace. Nella notte, una colonna diretta alla Casa Bianca è stata fermata dalla polizia che ha effettuato 222 arresti. Poi, nella prima mattinata di ieri, nonostante il maltempo che paralizzava il Nordest americano, la folla si è riunita presso il monumento ai caduti in Vietnam. Una dimostrazione parallela di sostenitori della guerra ha rischiato di provocare gravi incidenti, costringendo la polizia a un nuovo intervento. Infine, la marcia sul Pentagono, in uno sventolio di bandiere e di cartelli con scritto «Niente sangue per il petrolio», «No alle torture» e, in latino, «Sic semper tirannis». Ma né sul palco né tra i dimostranti, dove spiccavano le divise dei reduci del conflitto vietnamita, si sono visti parlamentari o leader della politica e della cultura. Organizzata da Answer, Rispondi, acronimo di «Act now stop war» (agisci adesso ferma la guerra) e «End Racism» (stronca il razzismo), la protesta ha portato alla ribalta l’ America povera, di mezzo, o delle minoranze, quella che ha i suoi figli al fronte. Un’ America che ha invocato non soltanto la pace in Iraq, ma anche la cura dei propri mali sociali, e che ha attaccato oltre a Bush anche i democratici «timorosi» di affrontare il presidente. Ha tuonato Hutton, il sottufficiale di Marina: «Bush ha violato la Costituzione, firmate il nostro appello al Congresso affinché sancisca la volontà di pace da noi espressa alle urne a novembre». Ha ammonito Michael Letwin del Gruppo lavoratori contro il conflitto: «Dopo avere causato 600 mila morti in Iraq, il presidente si prepara a combattere anche in Iran, bisogna fermarlo». Una musulmana, Khalilah Sabrah, si è appellata al ricordo dei bambini uccisi: «Per il bene di quelli ancora in vita, veniamo subito via da Bagdad!». La nera Cynthia McKinney, ex deputata democratica della Georgia, ha denunciato «l’ enorme danno spirituale e materiale» causato dalla guerra all’ America: «Abbiamo permesso che fossero violati i nostri diritti civili, ci siamo resi complici di crimini di guerra, abbiamo trascurato le vittime dell’ uragano Katrina, i disoccupati, i privi di assistenza medica». Cindy Sheehan, che perse il figlio in battaglia, ha rinfacciato a «re George» di aver mentito sul motivo del conflitto e di avere fatto dell’ America «uno Stato fuorilegge». Ramsey Clark ha evocato lo spettro di una nuova corsa al riarmo atomico. A ogni breve discorso, un boato della folla: «Pace, pace!». Giuliana Sgrena ha affermato che «in 4 anni la situazione in Iraq è peggiorata, la gente non ha sicurezza né lavoro né elettricità né acqua. I miei amici iracheni – ha proseguito – mi dicono che la loro unica speranza è di lasciare la nazione: è anche l’ unica speranza dei soldati americani, e noi europei ci adopereremo con voi per il loro ritiro, perché solo così si può aiutare l’ Iraq». La giornalista ha spiegato che i pacifisti italiani hanno ottenuto il disimpegno dall’ Iraq ma vogliono anche quello dall’ Afghanistan, e ha criticato il governo Prodi per avere autorizzato l’ allargamento della base di Vicenza.