A Roma per la conferenza europea della Federazione Sindacale Mondiale (Fsm), abbiamo sentito George Pontikos, a capo del dipartimento internazionale del Pame, il sindacato della sinistra greca che ha «movimentato» il 2010.
D: Qual è la situazione economica e sociale in Grecia?
R: Il tasso di disoccupazione ufficiale è intorno al 16%, ma diversi esperti di economia ritengono che entro la fine dell’anno arriveremo al 20. Il fatturato del settore commerciale, dal giugno 2009 al giugno 2010, ha perso il 9%. Il governo ha tagliato le pensioni, rivisto la lista dei lavori usuranti, limitato le pensioni di invalidità, previsto la privatizzazione delle ferrovie e di altri trasporti pubblici (abbassando il salario minimo del 20%). Ora ha annunciato aumenti per l’elettricità e una riforma dei contratti di lavoro che abolisce il livello nazionale, prevedendo solo contratti aziendali.
D: Quanti scioperi generali sono stati fatti negli ultimi mesi?
R: Dodici. La partecipazione è cresciuta di volta in volta. Quello del 5 maggio è stato il più grande degli ultimi 30 anni. Molti giovani e nuove categorie si sono avvicinati alla lotta. Ma, non avendo un’esperienza, hanno manifestato un grande entusiasmo iniziale e subito dopo una caduta. C’è anche un senso comune secondo cui ora stiamo vivendo il momento più duro della crisi, ma entro due o tre anni le cose potrebbero migliorare. E quindi molti si siedono e aspettano. C’è una fascia di popolazione che è d’accordo con noi, ma è intimorita dall’alto tasso di disoccupazione e dal «terrorismo» di governo e datori di lavoro. «se non ti piace così, licenziati».
D: È un’incertezza politica?
R: Ci sono due logiche differenti. Il governo socialdemocratico dice che queste misure sono dure, ma la situazione migliorerà col tempo. Per noi invece rispondono agli interessi della finanza e del capitale. Il nostro obiettivo è aggregare lavoratori dipendenti, autonomi, giovani, in una lotta contro queste misure.
D: Com’è il rapporto con gli altri sindacati?
R: Ci sono delle burocrazie, non dei sindacati. Prendiamo il Gsee: il suo presidente è un membro della direzione del Pasok (i socialisti al governo, ndr).
D: Tutti i governi europei stanno applicando la stessa strategia. Si può ancora resistere a livello nazionale?
R: La crisi non è un fenomeno greco, ma globale. È necessario un coordinamento tra tutte le organizzazioni ‘class oriented’, fuori dalle scelte della Ces, che non contrasta – anzi, di fatto supporta – le politiche liberiste. Un giorno – come in Italia, Francia, Spagna – portano le persone in piazza, il giorno dopo sono pronte al «dialogo».
D: Ad aprile ci sarà il congresso mondiale della FSM. È possibile una linea comune tra sindacati di paesi emergenti e quelli avanzati?
R: Ci sono diversi livelli di sviluppo in tutto il mondo. Dobbiamo trovare punti comuni almeno su sicurezza sociale, del lavoro, salari e diritti. Possiamo fare anche delle ottime proposte, ma il primo problema è conquistare la potenza sociale per imporle. Fra i primi obiettivi c’è quello di portare dentro questa battaglia i giovani e le donne, che mostrano una forte insofferenza per i sindacati e i loro leader. C’è bisogno che ne emergano di nuovi proprio tra i giovani e le donne. E, in Europa, bisogna riuscire a organizzare i lavoratori migranti all’interno del movimento sindacale; combattere la concorrenza tra i lavoratori per eliminare anche razzismo e fascismo. Il capitalismo non è una soluzione per i problemi dei popoli, e ora non ha più un futuro. Il nostro sforzo è in direzione di una piattaforma politica che ci consenta di parlare il modo diretto e chiaro a tutta questa gente.
* su Il Manifesto del 3 ottobre