«A un passo dalla guerra civile»

L’Iraq è sull’orlo della guerra civile. Parola di Amr Moussa, segretario generale della Lega araba, l’organizzazione che ieri ha inviato in Mesopotamia una missione per organizzare in fretta e furia una «conferenza di riconciliazione» alla vigilia di un referendum, quello di sabato prossimo, che secondo molti analisti rischia di spaccare definitivamente il paese. «La situazione è così tesa che una guerra civile può scoppiare da un momento all’altro, anche se alcune persone sostengono che sia già iniziata», ha dichiarato Moussa durante un’intervista alla Bbc. L’ex ministro degli esteri egiziano ha proseguito fornendo la sua interpretazione del conflitto iracheno: «In questo momento ci sono molti individui che stanno giocando con il futuro dell’Iraq ma non c’è alcuna strategia definita, né alcuna chiara leadership». Nel corso di una missione di cinque giorni l’inviato di Moussa, Ahmed bin Hilli, cercherà, «ascoltando tutte le parti», di attenuare i contrasti attorno a un progetto di costituzione che – anche secondo molti autotevoli think tank statunitensi – rischia di opporre irrimediabilmente i sunniti da una parte e gli sciiti e i curdi dall’altra.

Per decidere l’atteggiamento da tenere nei confronti della carta ieri i leader sunniti si sono riuniti nella grande moschea Um al Qura di Baghdad: ne usciranno solo quando avranno deciso se se boicottare la consultazione – come avevano già fatto per le elezioni di gennaio – o andare ai seggi e votare «no». Se i voti contrari prevalessero in almeno tre delle 18 province del paese con una maggioranza dei 2/3 la Costituzione sarebbe respinta ma quest’eventualità è considerata difficile sia per la difficoltà di mobilitare in massa i sunniti che per il timore di brogli a favore del «sì». La missione della Lega araba sembra comunque disperata, perché il progetto – che l’amministrazione statunitense vuole approvato subito per dimostrare che, parallelamente alle attività della guerriglia, va avanti anche un processo politico (di democrazia esportata con le armi) – in caso di vittoria dei «sì» è destinato a rafforzare il risentimento della minoranza sunnita (20% della popolazione) nei confronti delle altre due principali comunità. I meccanismi dettagliati per l’istituzione di regioni federali contenuti nel testo sembrano infatti prefigurare un progetto di secessione. E i sunniti sono preoccupati per l’impatto del «federalismo» sulle ricchezze del paese, con il petrolio che ricadrebbe interamente nelle aree curde al nord e sciite al sud.

A complicare la situazione le offensive militari degli occupanti contro i sunniti, proprio alla vigilia del voto. Ieri è terminata l’operazione «Pugno di ferro»: gli americani cantano vittoria con un bilancio di otto militari Usa ammazzati (1.952 dall’inizio della guerra) e «più di cinquanta terroristi di al Qaeda» eliminati nelle zone della provincia di al Anbar, al confine con la Siria.