A sorpresa, vertice anticrisi tra Olmert e Abu Mazen

Entrambi in difficoltà, presidente palestinese e premier israeliano accelerano i tempi e si incontrano a Gerusalemme. «Buon meeting», dicono, ma sui prigionieri nessun progresso
Riduzione del numero (centinaia) dei posti di blocco israeliani in Cisgiordania, allentamento dell’accerchiamento di diversi centri abitati palestinesi e altri gesti distensivi, come il possibile trasferimento ai palestinesi di una parte dei loro fondi (circa 500 milioni di dollari) congelati da Israele dopo la vittoria elettorale di Hamas. Nessun accordo invece sul principale obiettivo dei palestinesi: la scarcerazione dei detenuti politici. Israele su questo punto non farà concessioni, almeno sino a quando il caporale Ghilad Shalit – catturato da un commando palestinese lo scorso giugno – non verrà liberato e farà ritorno a casa.
Sono questi gli esiti principali, elencati in un comunicato ufficiale, dell’incontro a sorpresa avvenuto ieri sera a Gerusalemme tra il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen. Il faccia a faccia, il primo vero vertice tra i due, si è svolto in anticipo sui tempi previsti – la fine dell’anno – ed è stato preceduto da intensi contatti tra le due parti. Dopo il fallimento dell’offensiva militare contro il Libano, Olmert ha ora bisogno di risultati in diplomazia per recuperare il consenso degli israeliani. Abu Mazen cerca successi politici per riconquistare una opinione pubblica palestinese molto scettica verso la sua leadership e il suo partito, Al-Fatah, mentre è in atto il confronto violento con Hamas sulla convocazione di elezioni anticipate. Per «rafforzare» Abu Mazen, Olmert si sarebbe detto disposto ad autorizzare il trasferimento di centinaia (forse più) di mitra e pistole alla guardia presidenziale palestinese impegnata nello scontro armato con Hamas.
Per il portavoce palestines, Nabil Abu Rudeinah è stato in ogni caso «un buon incontro» e, soprattutto, il primo di una serie di colloqui tra i due leader che dovrebbero rivedersi presto. Negli ultimi giorni Abu Mazen, forte dei sostegni occidentali ricevuti dopo il suo annuncio di elezioni anticipate nei Territori occupati, ha adottato una linea più intransigente dei confronti del governo di Hamas. Ha ribadito con tono perentorio che i palestinesi andranno alle urne nei prossimi mesi se la crisi politica non troverà la sua soluzione nella formazione di un governo di unità nazionale, nonostante l’escalation di violenze e scontri a Gaza che hanno fatto 17 morti e decine di feriti. E ha annullato nomine fatte dal governo di Ismail Haniyeh ai vertici della amministrazione pubblica.
Ieri inoltre Hamas ha commesso un passo falso che ha offerto al presidente palestinese l’occasione di mettere a segno un punto a suo favore. Ahmed Yusef, il consigliere di Haniyeh, ha proposto una tregua totale di cinque anni e, in questo periodo di tempo, la fine di ogni operazione armata o attentato contro obiettivi israeliani all’interno dello Stato ebraico e in Cisgiordania e Gaza, in cambio di un arretramento delle forze armate israeliane e della nascita di uno Stato palestinese provvisorio. Abu Mazen ha subito proclamato che la proposta di Hamas danneggia gli interessi dei palestinesi e che l’obiettivo rimane quello della proclamazione definitiva, e nel più breve tempo possibile, dello Stato di Palestina, di una soluzione per i profughi palestinesi e la definizione dello status di Gerusalemme. In questo modo ha chiesto una soluzione ampia, rapida e permanente del conflitto con Israele, riflettendo l’opinione della maggioranza dei palestinesi. L’ipotesi di uno stato «provvisorio» alla qiale ha fatto riferimento Hamas (che pure Abu Mazen aveva accarezzato nei mesi scorsi), al contrario non incontra il favore della popolazione.