A quando la mobilitazione contro la barbarie dell’aggressione della NATO alla Libia?

Da qualche tempo ormai, i media di casa nostra si limitano a trasmettere resoconti che testimonierebbero (come al solito facendo riferimento a fonti, la cui attendibilità è difficilmente verificabile) dell’imminente sconfitta definitiva del regime di Tripoli. Il bombardamento propagandistico, come quello che a colpi di resoconti truci e filmati truccati sulle presunte violenze dei “lealisti” libici (smentiti in seguito anche da organizzazioni umanitarie come Amnesty, non sospettabili di simpatie gheddafiane) servì nel febbraio scorso a offrire gli argomenti per l’intervento militare occidentale contro Gheddafi, si è spostato, evidentemente con gli stessi propositi, contro la Siria, in questo momento oggetto di una vera e propria aggressione dall’esterno, tesa a impedire il processo di riforme politiche annunciate dal governo di Damasco e a provocare il rovesciamento violento di Bashar Assad da parte di forze che invocano apertamente l’intervento delle potenze imperialiste.

Quello che gli strumenti di comunicazione occidentali e le emittenti arabe, come Al Jazeera (controllata dal sovrano del Qatar, paese coinvolto nel conflitto libico e direttamente interessato alla vittoria del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi) non raccontano, sono le terribili conseguenze dell’intervento che una sciagurata risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha consentito in nome della “difesa delle popolazioni civili” e che si è tramutato presto in uno stillicidio di quotidiani bombardamenti del suolo libico da parte degli aerei della NATO che partono dagli aeroporti del nostro paese, muniti di testate “rafforzate” dall’uranio impoverito (1).

Nei primi quattro mesi di una guerra che sarebbe dovuta durare solo poche settimane, la NATO, in aperta violazione della pur deprecabile mozione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che però ne limitava fortemente l’iniziativa militare, ha colpito (non esitando a riconoscere in alcuni casi, anche se nella più totale indifferenza dell’apparato mediatico occidentale, la propria responsabilità in spaventosi eccidi) ben 1.600 obiettivi civili, provocando circa 2.000 morti, secondo le stime fornite da numerosi osservatori stranieri presenti sul posto. La cifra delle vittime non comprende ancora le 85 persone, tra cui 32 bambini, che hanno perso la vita in due bombardamenti effettuati dall’Alleanza Atlantica nella città di Zilten, a sostegno delle operazioni militari dei ribelli agli ordini del Consiglio Nazionale Transitorio (CNT) di Bengasi.

Il bombardamento di Zilten (vi hanno partecipato anche aerei italiani?) ha rappresentato un vero e proprio salto qualitativo sul piano dell’efferatezza dell’intervento NATO, come dimostrano le immagini raccapriccianti diffuse dalla televisione libica e completamente oscurate nei paesi che partecipano all’aggressione, sottoposti al regime di censura tipico dei tempi di guerra che sta filtrando minuziosamente ogni notizia proveniente dal fronte.

L’attacco, secondo la testimonianza del corrispondente della venezuelana Telesur, si è svolto in due fasi. In un primo tempo, sono stati lanciati tre ordigni ad alto potenziale che hanno distrutto un edificio e quando, immediatamente dopo, i vicini sono accorsi per soccorrere le decine di feriti provocati dal bombardamento, gli aerei della NATO, con una ferocia che testimonia fino in fondo del reale significato delle intenzioni “umanitarie” e dell’ipocrisia di questi “difensori dei diritti umani”, hanno ripetuto l’incursione.

Inoltre, negli ultimi giorni, la capitale libica Tripoli, che si è trasformata in una vera e propria “città martire”, è stata nuovamente bersaglio della furia imperialista. Almeno 15 missili sono caduti sulla metropoli in meno di 30 minuti, provocando un numero imprecisato di vittime e danni materiali che hanno aumentato i disagi materiali della popolazione civile che, giorno dopo giorno, assiste alla distruzione di scuole, ospedali, acquedotti e depositi di carburante e di alimenti.

E’ in questo contesto, con il sostegno del terrore seminato dagli strumenti di morte della NATO, che combattono, sventolando emblematicamente le bandiere della monarchia senussita vassalla delle potenze imperialiste, le milizie del CNT di Bengasi, con metodi che nulla hanno da invidiare a quelli delle belve feroci delle formazioni collaborazioniste dei nazisti nella Seconda guerra mondiale. E che si appresterebbero – almeno secondo i bollettini trionfalistici diffusi dai nostri mezzi di comunicazione di ogni tendenza, che simpatizzano sfacciatamente per i “quisling” di Bengasi al servizio degli interessi imperialistici – a chiudere la partita con Gheddafi e a regolare definitivamente i conti con il governo di Tripoli e i suoi sostenitori.

Esecuzioni sommarie di prigionieri e di civili sono testimoniate anche da filmati che circolano in rete, ma che ci si guarda bene dal trasmettere nei circuiti televisivi ufficiali, e da organizzazioni umanitarie che – a conferma delle pulsioni razziste che animano questi “combattenti della libertà” – hanno ripetutamente confermato anche violenze inaudite nei confronti dei numerosi lavoratori immigrati provenienti dalla regione sub-sahariana, che stanno ingrossando la schiera dei disperati che cerca rifugio al di là del Mediterraneo.

Non è difficile immaginare cosa potrebbe succedere al momento dell’ingresso dei “ribelli” a Tripoli alla popolazione civile della città che, in vasta maggioranza, fino ad ora ha dato prova di lealtà nei confronti del regime emerso dalla rivoluzione antimperialista del 1969. Ed è scontato che non sarebbero certo i “difensori delle popolazioni civili” occidentali a impedire regolamenti di conti e massacri indiscriminati. Solo pochi mesi fa ne ha dato prova in Costa d’Avorio la Francia, che si è guardata bene dall’intervenire per fermare le vendette delle milizie del fantoccio Ouattara non solo contro gli avversari politici, ma anche contro centinaia di donne e bambini inermi, massacrati a colpi di mitra e di machete in villaggi considerati “nemici”.

E’ evidente che non ci troviamo alla vigilia di una fuoruscita “morbida” dal conflitto, come hanno tentato (con il consenso di Gheddafi e i ripetuti rifiuti del CNT e dei suoi alleati) di ottenere le varie proposte di mediazione avanzate dai BRICS, dall’Unione Africana, dall’America Latina (quella “comunità internazionale” contro cui agisce permanentemente la coalizione dei paesi imperialisti dell’Occidente), ma piuttosto di fronte alla fosca prospettiva di una “somalizzazione” del conflitto, dovuta alla tenace ostinazione degli aggressori di non “fare prigionieri” e di non venire a patti.

Quanto di terribile sta succedendo da cinque mesi a pochi chilometri dalla costa italiana, il coinvolgimento e l’esposizione dell’Italia nella sanguinosa guerra di aggressione contro un paese a cui eravamo legati da un patto di amicizia che doveva risarcirlo dell’umiliazione subita nel novecento sotto il nostro dominio coloniale e che è stato violato dal nostro governo (con il consenso dell’opposizione parlamentare) in aperto spregio della legalità internazionale, l’ennesima violazione dell’articolo 11 della Costituzione repubblicana, dovrebbero rappresentare motivi sufficienti per la presenza di una mobilitazione efficace del movimento pacifista e delle forze politiche e sociali democratiche a sostegno della richiesta dell’immediata cessazione del conflitto e dei massacri ad opera della NATO, dell’avvio di una trattativa di pace tra le parti che lasci al popolo libico l’ultima parola in merito al regolamento del conflitto.

Basterebbero, del resto, solo i costi che la partecipazione italiana a questa guerra scarica sui ceti più deboli del nostro popolo, colpito in questi giorni dalla manovra “lacrime e sangue” imposta dal governo e dall’Unione Europea, a reclamare un’ampia mobilitazione. Se pensiamo che solo nel primo mese di guerra sono stati spesi (tra impiego di mezzi aerei e navali) 50 miliardi di euro e, solo per cinque navi della flotta schierata al largo delle coste libiche, si spendono 350 mila euro al giorno per ciascuna (2), abbiamo ragioni a sufficienza che dovrebbero sollevare l’indignazione per questo sperpero di risorse che potrebbero essere altrimenti utilizzate, senza gravare pesantemente sui redditi dei settori più deboli della nostra popolazione.

Eppure di una mobilitazione adeguata alla gravità di quanto sta accadendo non c’è traccia. Anzi non c’è traccia di alcuna, seppur limitata, mobilitazione, dopo quella effimera e striminzita, durata lo spazio di un mattino, che ha coinvolto settori assolutamente minoritari del movimento, spesso su parole d’ordine che accomunavano aggressori e aggrediti. Una sorta di assuefazione allo stato di guerra permanente sembra caratterizzare l’Italia, come testimonia l’assenza di qualsiasi riferimento al coinvolgimento dell’Italia nelle principali missioni della NATO nel mondo persino in tutte le lotte che i movimenti del nostro paese hanno sviluppato a sostegno del quesito referendario sull’uso del nucleare pacifico, dove è sembrata francamente poco comprensibile l’incapacità di legare il corretto rifiuto della costruzione di pericolose centrali nucleari alla richiesta di denuclearizzazione del nostro paese anche sul piano militare e di rifiuto di ogni partecipazione a guerre che contemplano l’utilizzo di materiale nucleare, come sta avvenendo anche in Libia.

Di questi profondi limiti devono avere piena consapevolezza in primo luogo i comunisti che si apprestano a svolgere il loro congresso di “ricostruzione del partito comunista”. Occorre al più presto raccogliere l’eredità delle migliori tradizioni pacifiste e internazionaliste del nostro popolo che non ha mai mancato, in passato, di mobilitarsi contro tutte le guerre e le avventure imperialiste e colonialiste a cui hanno partecipato o prestato la loro complicità le classi dominanti italiane. Ai comunisti spetta il difficile, ma urgente compito di rilanciare un grande movimento contro la guerra e la partecipazione italiana alle aggressioni dell’imperialismo alla sovranità dei popoli e al loro diritto all’autodeterminazione.

(1) David Wilson, “Uranio impoverito: uno strano modo di proteggere i civili libici”, http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=20798

(2) Francesco Maringiò, “La guerra in Libia è illegale e costa tanto. Perché nessuno lo dice?”, http://www.oltre-confine.it/index.php?option=com_content&view=article&id=139:guerra-in-libia-illegale-e-costosa&catid=34:news