Tutti coloro che cianciano di inviare a Napoli l’esercito in armi non si sono mai accorti che l’esercito a Napoli c’è già: un esercito composto da una miriade di associazioni del volontariato e del terzo settore dal Pioppo, a Jonathan, al CNCA – Coordinamento delle comunità di accoglienza, al Sert che si occupa di tossicodipendenze presso il carcere di Poggioreale, all’Associazione Quartieri Spagnoli, alla storica Mensa per i bambini proletari e dei Maestri di strada, solo per citarne alcune.
E poi don Merola e don Riboldi, magistrati attenti e sensibili, assistenti sociali, il sindacato e gli insegnanti di scuola impegnati ed esposti in prima linea non solo per insegnare ma anche per fare da assistenti sociali. In più gli insegnanti svolgono spesso una sussidiaria quanto essenziale funzione genitoriale per moltissimi ragazzi i cui genitori naturali – ai quali non sono mai stati forniti adeguati strumenti culturali – sono totalmente impegnati, per arrivare a fine mese nella dura sopravvivenza della vita quotidiana per riuscire in qualche modo a mantenere la famiglia: tutto ciò in presenza di una dispersione scolastica tra le più alte d’Italia, che sfiora l’11%.
Questo è il vero esercito militante: un esercito invisibile alla politica e ai mezzi di comunicazione ma che opera giorno per giorno con le armi della passione, della dedizione e della competenza. Le uniche armi, che se sostenute e aiutate adeguatamente, possono riuscire a modificare radicalmente la realtà.
E se la criminalità organizzata chiama in causa preliminarmente e inevitabilmente necessità investigative e repressive, la violenza diffusa e “senza senso” chiama in causa tutti, la società nel suo insieme: che deve sapere interrogarsi e guardarsi dentro, superando la semplice indignazione o la miopia che individua nell’uso dell’esercito una possibile risposta.
Le semplificazioni non servono a nulla, tanto meno a difendere i cittadini dal crimine e dalla violenza. La facile demagogia è la peggiore delle risposte.
Alcuni dei tragici episodi di questi giorni sono eloquente e sanguinosa rappresentazione di quanto la violenza provenga dall’“interno” e non dall’“esterno” della normale vita sociale: è dunque lì, nella società, nei suoi valori, nelle culture che la attraversano, che vanno costruiti gli antidoti, le condizioni di un recupero di significato delle relazioni sociali e della vita stessa, oggi ridotta a oggetto, merce anche da rapinare o da acquistare come nuova schiavitù.
Ricostruire i luoghi e i soggetti della socialità è la precondizione per sconfiggere ogni violenza, soprattutto da quando sono scomparsi o ridotti a poca cosa i tradizionali luoghi di mediazione, come le sezioni dei partiti o le case del popolo, che in vari modi mantenevano aperto un collegamento tra i quartieri e il governo della città e che indirettamente svolgono una funzione costruttiva di controllo sociale del territorio.
E quando lo spazio pubblico si restringe o scompare, si insinua più facilmente l’economia criminale. Il vuoto si riempie. Sempre.
Una città diventata deserto può magari trasformarsi in fortino, ma nulla cambierebbe davvero.
Solo rendendola viva e abitata, luogo di relazioni, scambio, crescita, educazione, opportunità si toglie spazio alla criminalità.
E’ diventata moda emulativa la Notte bianca nelle città, ma il rischio è che sia il giorno a essere spento e vuoto, che trionfi la solitudine e la frantumazione sociale, e che la politica semplicemente non sia più in grado di leggere e comprendere i bisogni dei cittadini, di decifrare il territorio nella sua complessità.
Il ministro della Giustizia Mastella, lasciato per l’indulto vilmente solo, nei giorni scorsi ci ha incaricato di cercare di dare vita a un “piccolo piano Marshall per le carceri” per favorire il reinserimento sociale degli ex detenuti e dei detenuti a fine pena, ricreando una rete e un coordinamento tra le forze sociali e produttive, il volontariato, il sindacato, la magistratura così come facemmo nell’anno del Giubileo.
Un investimento coraggioso e lungimirante, in grado di ridurre crimine e recidiva (che dai primi dati del ministero relativi all’indulto è del 3,8 per cento, mentre storicamente è sempre stata superiore al 70 per cento).
La progettualità concreta che è stata messa in atto per esempio a Barcellona nel vasto quartiere delle Ramblas o a Istambul nel quartiere alle falde del Palazzo Topkapi del Sultano, luoghi un tempo malfamati ben peggio dei quartieri napoletani, ora sono rifioriti con la partecipazione di centinaia di migliaia giovani e meno giovani ad una vita sana e allegra che ha scacciato la cultura della sopraffazione e della morte: perché a Napoli in tutti questi anni di “buon governo” della sinistra un recupero concreto non è stato agito?
Per fare un altro esempio più vicino a noi in Italia, a Bari vecchia il famigerato quartiere San Paolo ha incominciato a rivivere e prosperare.
Mentre a Napoli, lasciata sempre più sprofondare nel degrado, la politica di governo invece di progettare concretamente e mettere in atto cambiamenti effettivi si è regolarmente occupata quotidianamente di inconcludenti beghe da cortile, autoreferenziali e ben lontane dai problemi degli strati più poveri.
E allora per dare un segnale di attivismo si vuole ad ogni costo criminalizzare dei ragazzi ai quali è stato rubato, fin dalla nascita, tutto: gli è stata rubata l’infanzia, l’adolescenza, il diritto all’immaturità (come lo definisce emblematicamente Fulvio Scaparro), rubata la speranza di un futuro dignitoso, rubate ogni opportunità.
Insomma si cerca di criminalizzare i poveri, gli ultimi che invece sono le vittime.
Gli ultimi, i miseri sono invece, senza dubbio, tutti coloro che avendo il potere di trasformare la realtà invece si accontentano di gestire (malamente, per interessi di potere e di consenso politico se non per fare soltanto affari) l’esistente.
Questo è il dato di realtà.
E’ per tutti questi motivi che facciamo appello al ministro per la Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, perché – coinvolgendo Enti locali e Istituzioni, mondo del volontariato laico e religioso, terzo settore, sindacato nonché imprenditori socialmente più attenti al proprio territorio – di fronte alla drammatica situazione emersa a Napoli, si adoperi in questa direzione: dare vita e voce al sociale, valorizzandone le risorse e la conoscenza “dal basso” del territorio, delle sue lacerazioni, ma anche delle possibili risposte.
A tal fine, ci pare utile e opportuno che a Napoli il ministro Ferrero promuova, il più presto possibile, una Conferenza di Programma per l’inclusione sociale coinvolgendo tutte queste energie attive, di gruppi o di singoli impegnati a vario titolo nel tessuto urbano ed extra-urbano, per discutere di proposte concrete volte a risolvere problemi concreti.
A tale Conferenza sarebbe utile e opportuna la presenza del Capo dello Stato, anch’egli napoletano, che ha usato termini e modi appropriati per parlare della drammatica situazione della sua città di origine.
E sarebbe utile e opportuno coinvolgere il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, dato che il lavoro è aspetto centrale ed essenziale per un progetto concreto di riqualificazione e rinascita del territorio: al fine di costruire vere opportunità per non abbandonare giovani, e meno giovani, ad avvilenti precarietà che spesso, in questi contesti, diventano anticamera per un ingresso nel mondo dell’illegalità.
Napoli, vittima di luoghi comuni, diventi luogo comune di socialità, di lavoro e di futuro quale reale quanto unica pre-condizione per allontanare ogni violenza.
Altrimenti per Napoli, come scriveva Enzo Striano nel suo splendido libro, di grande attualità, sulla fallita rivoluzione napoletana del 1799, sui lazzari e sulla figura di Eleonora Pimentel Fonseca, non rimarrebbe che “il resto di niente”.