“A lavorare, andate a lavorare”, il popolo rosso attacca i suoi dirigenti

«Dovete andare a lavorare». Lo scrive, via mail, Antonio Longobucco. Uno dei tanti elettori di sinistra che hanno riversato sulla pagina delle lettere di Liberazione la rabbia e il dolore per la disfatta dell’Arcobaleno. Il Manifesto, negli ultimi giorni, ha fatto di più, creando un paginone centrale con una rubrica ad hoc: «Lettere extraparlamentari». Il popolo rosso è veramente incazzato, verso tutti: dirigenti, governo Prodi e pure verso i due giornali comunisti. Chiede a Bertinotti&Co di farsi da parte, al partito di tornare tra la gente e di non abbandonare la falce e martello. L’Arcobaleno, a leggere le tante lettere dei militanti, proprio non piace.
Scrive Aurelio Crippa, sul quotidiano diretto da Piero Sansonetti, che aveva titolato «Punto e a capo» il suo editoriale il giorno dopo la sconfitta «Al titolo “Punto e a capo” va aggiunto “Si cambia”. Questo vale per i responsabili del disastro elettorale e anche per Liberazione». Crippa non è il solo che se la prende anche con il quotidiano di Rifondazione: «Bertinotti avrebbe rassegnato le dimissioni da tutti gli incarichi. Una domanda: cosa aspettano gli altri dirigenti, e partire dal direttore che ha reso questo giornale illeggibile, a imitarlo?», si legge nella lettera inviata da Filippo Parodi. I malumori sono anche interni, a giudicare dal tono della lettera inviata dal Forum delle donne del Prc: «Le responsabilità di tutti i gruppi dirigenti della Sinistra arcobaleno sono gravissime». C’è anche chi mostra un vero e proprio dolore esistenziale: «Mi sento come una poveretta abbandonata a se stessa e ai propri sogni, alle proprie speranze di un futuro migliore da regalare ai propri figli. Non ce la posso fare» scrive Mary. E chi prova a farsi forza: «Mi vengono in mente le parole di mio padre che mi disse prima di morire: “Finché troverai sulla scheda una falce e martello non avrai problemi a scegliere”. Mi sembra il giorno ideale per ricordarlo» dice Luciano Bravetti. O chi recita il de profundis: «La sinistra è morta e sepolta», sostiene Giovanni Giovannetti.
Sul Manifesto il tono non cambia, anzi. Nel commento che il quotidiano riserva alle vicende elettorali dell’Arcobaleno, pubblicato due giorni fa a pagina quattro, si legge: «La radicalità della sconfitta richiede l’azzeramento dei gruppi dirigenti e lo scioglimento delle organizzazioni esistenti, per pensare a una formazione politica radicalmente nuova». Le lettere extraparlamentari non sono da meno. Per Michele Corsi la Sinistra è senza alibi: «Pochi hanno votato il cartello di Bertinotti perché ha dimostrato, semplicemente, la sua totale ininfluenza Non hanno alcuna scusa hanno perso e se ne devono assumere per intero la responsabilità». Enrico Soldi se la prende con Prodi: «Ma dove sono stati i vari Bertinotti e compagnia di briscola in questo periodo. A parlare agli operai? Ma lasciamo stare. Hanno fallito nei due anni a governare con Prodi nonostante la fiducia data soprattutto dai giovani».
Come con Liberazione, qualcuno se la prende anche con il Manifesto: «Caro Manifesto, mi dispiace dirlo, hai perso. Valentino Parlato ha perso, Rossana Rossanda ha perso. Il collettivo del Manifesto ha perso perché si è schierato, senza se e senza ma, con la Sinistra arcobaleno, dopo i grandi dubbi degli ultimi mesi potete anche togliere la testatina (quotidiano comunista)». La tensione è palpabile. Ieri nelle lettere extraparlamentari è intervenuto anche Giordano, irritato per un articolo apparso sul giornale del giorno prima sui giovani rampolli bertinottiani: «Giusto criticare anche aspramente le diverse posizioni in campo. Non lo è tirare in ballo le persone, tirando in ballo le relazioni private e personali».
Sul sito di essere comunisti, la combattiva minoranza interna
di Rifondazione, che in nome della falce e martello è disposta a
fare le barricate, la musica non cambia: Palmiro Capacci usa un
linguaggio poetico: «L’arcobaleno è bello ma è labile, dura poco,
poi sparisce. E sparito. Non ha svolto il suo ruolo. Avrebbe dovuto rappresentare la fine del cattivo tempo, ha invece preannunciato l’uragano». Giorgio dal quartiere Brancaccio di Palermo va
giù duro: «Mi sono rotto i coglioni. La classe che dovrebbe essere da noi rappresentata e soprattutto ascoltata vota in massa Berlusconi». Non si contano le lettere in cui si chiedono le dimissioni del gruppo dirigente: «Il primo passo è ripulire: sgombrare il Prc da quei compagni e da quelle compagne che non sono interessati a questo percorso. Per loro non è più tempo di falce e martello» scrive Iacopo Borsi. In altre lettere ci si appella all’antifascismo, alla resistenza per trovare il coraggio di andare avanti. Ma, oggi, scrivono, fa veramente male. «Cari compagni, domani nella nostra bacheca appenderemmo la bandiera rossa con la falce e martello con un drappo nero in segno di lutto» scrivono dal circolo Prc di Porto Recanati