«A Falluja uccisi degli innocenti, ma resterà una strage impunita»

Falluja? L’ennesimo esempio che evidenzia quanto la normativa internazionale sia inefficace contro lo strapotere delle grandi potenze». Danilo Zolo, professore di filosofia del diritto nella facoltà di Giuriprudenza dell’Università di Firenze, interviene sulla “strage al fosforo”.

Falluja sta portando al pettine dei nodi giuridici irrisolti. C’è chi sostiene che a livello internazionale ci sia di fatto una deregolamentazione diffusa. Il suo parere?

Sono d’accordo nel sostenere che il diritto di guerra è un apparato normativo molto fragile. Hersh Lauterpacht, uno dei più autorevoli internazionalisti del ‘900, diceva che se il diritto internazionale è il punto di evanescenza del diritto, quello bellico è il punto di evanescenza del diritto internazionale.

Quale può essere la ragione?
La ragione principale sta nel fatto che sono le grandi potenze che fanno in modo che il diritto internazionale sia scarsamente efficace. Le cito l’esempio della nozione di guerra di aggressione, che nella sentenza del Tribunale di Norimberga venne definita «crimine internazionale supremo». Eppure dal 1946 ad oggi non c’ è stato un solo processo contro attori internazionali responsabili di questo crimine. Anche se sono stati numerosissimi i casi di aggressioni di Stati da parte di altri Stati, come lo stesso Consiglio di Sicurezza ha più volte riconosciuto. Per un verso le grandi potenze si rifiutano di dare una definizione precisa di ‘aggressione’, per un altro impediscono che i tribunali penali internazionali si occupino di questo crimine. Il caso dell’ aggressione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna contro l’Iraq è paradigmatico.

Ma nel caso di Falluja ci sarebbero strumenti per un intervento penale internazionale…

In teoria gli strumenti ci sarebbero, fomiti sia dalla Convenzione di Parigi del ’93 che bandisce l’uso militare di armi chimiche, sia dallo Statuto della Corte penale internazionale dell’Aja. Ma gli Stati Uniti non riconoscono la giurisdizione di questa Corte e d’altra pane neppure l’Iraq ne aveva ratificato lo Statuto. Malo stesso consiglio di Sicurezza potrebbe in teoria prendere posizione sia contro l’aggressione all’Iraq, sia contro l’infame violazione delle Convenzioni di Ginevra attuate dalle milizie statunitensi a Falluja. Ma questo non capiterà.

Perché?
Perché ci troviamo di fronte a una situazione in cui il mondo è polarizzato fra un direttorio di grandi potenze guidate dagli Stati Uniti, da un lato, e dall’ altro la grande maggioranza dei paesi deboli e poveri. E questo determina uno squilibrio nei rapporti di forza internazionali che non ha precedenti nella storia umana. E il diritto internazionale non può funzionare. Ci troviamo in una fase storica in cui gli Stati Uniti sono una superpotenza che si considera “legibus soluta”, al di sopra della legge.

Tornando aFalluja, di fronte a una strage attuata con strumenti non convenzionali, a suo parere quella distinzione fra anni convenzionali e non convenzionali ha ancora senso?

Condivido il suo dubbio. Anche qui, in teoria, una distinzione giuridica c’è, visto che c’è un trattato contro la proliferazione delle armi nucleari. In ogni caso credo che quella distinzione sia sempre meno praticabile e praticata. Nel corso delle guerre successive alla fine della guerra fredda, incluse quelle cosiddette ‘umanitarie’, gli Stati Uniti hanno usato armi sempre più sofisticate e micidiali, dai proiettili all’uranio impoverito (D. U.), alle devastanti “cluster bombs” e “daisy-cutter” (taglia-margherite), agli “air-fuel explosives” che, difatto, non sono altro che piccole, raffinate bombe nucleari che hanno lo stesso effetto delle grandi testate nucleari, solo in un ambito più circoscritto. Del resto, recentemente, il Congresso statunitense, superando una legislazione consolidata, ha autorizzato la produzione di armi nucleari tattiche. Da usare anch’ esse per la diffusione della democrazia nel mondo e la tutela dei diritti umani…

Di fatto dunque le grandi potenze operano nella totale impunità. Eppure per lo meno i trattati vietano quelle che provocano distruzioni di massa…
Per quanto riguarda il cosiddetto ‘ius in belld la normativa internazionale è una sona di colabrodo. I trattati che hanno deciso l’esclusione di cene armi hanno normalmente messo in soffitta armi ormai superate. Faccio qualche esempio. E’ illegale l’uso delle pallottole a frammentazione ‘dum-durn’. Non c’è invece alcuna norma che vieti l’uso di missili o di bombe ad alto potenziale come quelle che ho citato sopra. A rigore neppure l’uso di testate nucleari è legalmente bandito.

Anche la riforma delle Nazioni Unite è fallita per volere degli Stati Uniti. Come si può arginare quest’impunità?

Il punto di partenza per una discussione su questo tema non può essere a mio parere la riforma delle Nazioni Unite. Questa riforma esigerebbe ovviamente il consenso delle grandi potenze, in primis degli Stati Uniti che godono in seno al Consiglio di Sicurezza di un rilevantissimo plus-valore giuridico: la qualità di membri permanenti e il potere di veto. Solo pensare che una grande potenza possa rinunciare spontaneamente a privilegi di questo tipo sarebbe un’imperdonabile ingenuità. Il potere – tanto più quello internazionale – può essere limitato solo da un contropotere, non dalla buone intenzioni o dalle prediche morali. II grande tema da affrontare, secondo me, non è la riforrna delle istituzioni ma il cambiamento dei rapporti di forza all’interno dell’ arena internazionale.

Occorre fare in modo che lo strapotere delle grandi potenze occidentali venga riportato entro una logica di equilibrio. II dramma è che si dovrebbe farlo attraverso forme non violente e, inevitabilmente, graduali.

Dunque secondo lei il diritto internazionale non può offrire che un contributo molto limitato. Non è sconfortante per un giurista come lei che, sia pure da un punto di vista filosofico, si occupa di diritto internazionale?

Antonio Cassese, uno dei più autorevoli internazionalisti europei, ha scritto in un suo libro: “Il giurista che si occupa di diritto internazionale si sente spesso come quegli intellettuali di cui Brecht diceva che dipingono nature morte sulle pareti di una nave che affonda».