L’ assalto alla televisione nazionale ungherese del 18 settembre 2006, gli scontri violenti tra dimostranti e polizia del 23 ottobre, nel cinquantenario della rivoluzione del 1956 e i disordini a Budapest lo scorso 15 marzo sono espressioni di un profondo malessere sociale, che non coinvolge soltanto questo paese ex socialista dell’ Europa centrale, ma tutti i paesi dell’ Est, appartenenti o meno all’ Unione europea. I fatti d’ Ungheria, l’ accesso al governo di forze nazionaliste di estrema destra in Polonia, Cechia e Slovacchia testimoniano di un problema serio, suscettibile di mettere a repentaglio non solo la coesione delle societá dell’ Est, ma della stessa Ue.
La Ue vista da Est: rovinosa
All’ origine delle gravi tensioni sociali c’è la sfrenata liberalizzazione economica accompagnata dalla demolizione del welfare, imposte dal Fondo monetario e dalla Banca centrale europea ai governanti dell’Est ed eseguite con servilismo dai più.
La transizione dall’ economia pianificata all’ economia di mercato fu caratterizzata dalla privatizzazione quasi totale della proprietá statale e cooperativistica, e dalla liberalizzazione dei servizi pubblici dell’ acqua, gas, elettricitá, salute, poste e comunicazioni. Il controllo sull’ economia di questi paesi é passato praticamente nelle mani di multinazionali, che in Ungheria, ad esempio, fatturano il 70 % del prodotto interno lordo.
Noi ungheresi l’abbiamo imparato
Le corporations da noi non beneficiano soltanto degli immensi vantaggi di una manodopera specializzata e a buon mercato, ma anche di privilegi fiscali sempre meno sopportabili socialmente, poiché ostacolano il soddisfacimento di elementari bisogni della gente: salute, lavoro, istruzione.
Oggi circa la metá dei cittadini degli stati ex-socialisti, complessivamente 150 milioni, innanzitutto residenti nelle ex repubbliche sovietiche, vivono al di sotto o intorno alla soglia dei redditi considerati minimi dall’ Onu, e 47,5 milioni di loro tirano avanti in estrema povertá con 2 dollari e 15 centesimi al giorno. Nella sola Ungheria, membro da tre anni della Ue, oltre 3 milioni di persone, su una popolazione di 10 mila, vivono di reddditi inferiori ai minimi sociali ufficiali. Il catastrofico declino dei redditi, la disoccupazione, la crescente povertà e miseria di larghi strati della popolazione, la rapida polarizzazione della societá, il deterioramento delle condizioni di salute, del sistema educativo, della protezione sociale richiedono un maggiore impegno dello stato, e volontá politica per modificare i rapporti di reddito e potere a fronte dei dei lucri, del paradiso fiscale e della trasferta degli utili delle grandi compagnie internazionali che impedisce un riequilibrio finanziario e un maggior impegno in senso sociale. Invece, per evitare la dislocazione altrove delle corporations e l’ ulteriore aggravarsi dei livelli occupazionali, molti governi dell’est evitano le necessarie correzioni fiscali, e scelgono l’aumento delle imposte dei lavoratori e dei ceti medi, delle tariffe, e misure di «austerità» che gettano olio sul fuoco del malcontento popolare.
Malessere sociale e spinte autoritarie
Questo malcontento viene strumentalizzato da forze estremiste di tendenza autoritaria. Non mi riferisco solo all’ estrema destra, responsabile degli atti di violenza scatenati nelle strade di Budapest, ma anche all’ estrema sinistra stalinista, nostalgica dei vecchi tempi. L’ estrema destra cerca di canalizzare il malessere sociale verso una revisione del Trattato di Trianon, che dopo la prima guerra mondiale privó l’ Ungheria di due terzi del suo territorio storico, e dopo il secondo conflitto mondiale fu riconfemato con pene ancora piú gravi. Le nostalgie dell’ estrema sinistra vanno ben oltre il periodo di «socialismo del gulasch», e mirano alla restaurazione di qualcosa di molto simile al regime stalinista della dittatura «esercitata in nome del proletariato». Così da una parte si creano leghe antifasciste per porre argine alla «weimarizzazione» – come loro la definiscono -, mentre dall’estrema destra si accentuano i toni anticomunisti e l’ intolleranza per le minoranze etniche e sessuali, i segni dell’ antisemitismo e della xenofobia. Ambedue gli estremi propongono il passato come soluzione per il futuro, puntando sugli istinti della gente emarginata e tormentata dalle politiche neoliberiste, scombussolata circa i contenuti materiali e le prospettive della democrazia.
La via d’ uscita da questa grave crisi sociale passa attraverso il cambiamento di rotta dal neoliberale al sociale. Il superamento del capitalismo neoliberista, l ‘ impegno per un’ Europa sociale dei cittadini sono, a mio avviso, traguardi comuni tra lavoratori e societá civili dell’Est e dell’Ovest, per una riunificazione concreta delle due parti del vecchio continente. Ma per agirla bisogna capire la diversità delle situazioni tra Est e Ovest, Centro e periferia. E indispensabili sono dialogo e consenso per poter camminare insieme. A questo proposito vorrei fare alcune osservazioni critiche sul progetto della «Carta dei principi per un’ altra Europa» – da mettere a punto alla prossima Assemblea del Forum sociale europeo a Lisbona dal 30 marzo al 1 aprile. Tale progetto non riflette che in parte le proposte e i propositi avanzati dai rappresentanti dei movimenti sociali dell’ Est. Il documento ha indubbiamente il merito di definire una serie di principi e di diritti umani e sociali validi per tutti noi, ma allo stesso tempo é privo di un progetto economico-sociale capace di offrire una base materiale alternativa per rendere attuabili molti diritti elencati.
La nostra Carta: no a Merkel e soci. E poi?
La coerenza del progetto di carta costituzionale della Ue che Angela Merkel sta cercando di risuscitare dalle ceneri – cui noi contrapponiamo la nostra «Carta» – deriva da un sistema economico-sociale molto concreto. Finché non riusciremo a indicare un progetto economico-sociale alternativo e le vie per realizzarlo, i nostri principi non avranno sostegno materiale di fatto. La nostra Carta dei Principi, nonostante i nostri assidui sforzi, ha quindi dei limiti molto seri.
Abbiamo proposto di definire un modello economico misto, con forme di proprietá cooperativistiche, individuali, statali, una sovrastruttura, che fosse espressione della pluralitá degli interessi sociali. Abbiamo proposto la ricerca di sintesi di efficenza economica e di equità sociale. Abbiamo preso posizione a favore di un graduale processo evolutivo verso forme di controllo democratico dell’ economia e un nuovo sistema istituzionale che combinasse democrazia rappresentativa con quella diretta e partecipativa.
La lezioni dei paesi ex comunisti
Partendo dalla lezione che abbiamo acquisito dal crollo del socialismo reale nei nostri paesi, abbiamo proposto di intraprendere vie di transizione verso una realtà nuova, in cui i diritti umani e sociali potessero affermarsi in libertá e democrazia. In modo da riconfermare i veri valori di sicurezza sociale del socialismo sperimentato, ma evitando di ripetere gli errori del totalitarismo di stato, la negazione dei diritti di libertá democraticche. Libertà, autodeterminazione, diritti delle minoranze nazionalei: in questo senso ci siamo impegnati nella trasformazione dell’ Europa neoliberista in un’ Europa sociale.
* Coordinatore Forum sociale ungherese