Passerà alla storia come il primo prigioniero di Guantanamo finito sotto processo e condannato dalle contestatissime Commissioni militari. Ma David Hicks, il «talebano australiano», il 31enne dalla vita spericolata nato alla periferia di Adelaide e finito ad addestrarsi alla guerriglia a Kandahar, può considerarsi un ragazzo fortunato, perché dopo essersi beccato una condanna a nove mesi di reclusione, lascerà presto le celle d’acciaio di Camp 6 e sconterà la pena in patria. Il giudice Ralph Kohlmann, un colonnello della marina, l’altro ieri ha pronunciato la sua sentenza dopo che lunedì Hicks si era dichiarato colpevole di uno solo dei suoi capi d’imputazione, «supporto materiale al terrorismo». Per aver frequentato i campi di Al Qaeda in Afghanistan e combattuto per un paio d’ore contro gli Stati Uniti quando, nell’ottobre 2001, i marines invasero il paese asiatico, Hicks è stato condannato a sette anni, con sei anni e tre mesi di pena sospesa.
Ma l’esordio dei tribunali con i quali l’Amministrazione Bush conta di giudicare alcune decine dei sospetti terroristi rinchiusi da oltre cinque anni nel carcere definito da Amnesty international «un gulag dei tempi moderni» è stato una farsa. Human rights watch ha denunciato l’impossibilità per l’imputato di scegliersi un difensore. L’unico legale rimastogli, l’avvocato militare Michael Mori «è stato minacciato dal capo procuratore della Commissione militare, il colonnello Morris Davis, che l’ha avvertito di essere perseguibile penalmente – in base all’articolo 88 del Codice di giustizia militare – per aver criticato pubblicamente la politica del presidente Bush riguardo ai prigionieri». Hicks, che aveva denunciato di essere stato picchiato, torturato e sodomizzato ha ritirato le sue accuse. «È una vergogna che David abbia dovuto affrontare tutto ciò per essere rilasciato, quando avrebbe dovuto avere al suo fianco il governo australiano, che avrebbe dovuto difendere i diritti di un suo cittadino», ha dichiarato alla Australian associated press Terry Hicks, il padre del prigioniero.
Secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti civili, il caso Hicks evidenzia il tentativo dell’Amministrazione Bush di disfarsi di 70-80 dei 395 dannati di Guantanamo (quelli sui quali i servizi segreti hanno almeno qualche indizio di partecipazione, in Afghanistan soprattutto, ad azioni anti-americane) attraverso uno scambio: una pena lieve, da scontare in patria, in cambio della confessione delle azioni portate a termine, definite sempre «terroristiche».
«Per celebrare i processi per i sospetti terroristi ci vorrebbero anni – ci dice al telefono da New York Joanne Mariner, di Human rights watch -. L’amministrazione invece vuole circa 80 confessioni, rispedire in patria un’altra ottantina di persone, senza processarle, e lasciare in regalo al prossimo governo la gestione dei restanti 250 prigionieri». «Tuttavia – continua la ricercatrice dell’organizzazione statunitense per i diritti umani – non si può parlare di processi, perché quelli celebrati dalle corti militari non rispondono ai princìpi del giusto processo né rispettano gli standard internazionali minimi».
Anche nell’Amministrazione statunitense si insinuano le voci critiche: giovedì il segretario alla difesa, Robert Gates, ha ribadito di essere favorevole alla chiusura di Guantanamo, ma soltanto dopo che verrà assicurato che alcuni detenuti – quelli che avrebbero detto di voler colpire gli Stati Uniti anche se rilasciati – restino in carcere per sempre.
Il leader dei verdi australiani, Bob Brown, ha criticato un altro aspetto dell’accordo raggiunto su Hicks. «Si tratta chiaramente di un patto tra Howard (il premier conservatore di Canberra, ndr) e Bush, per tappare la bocca del detenuto fino alle elezioni (australiane) di novembre». In cambio della pena da scontare in patria ad Hicks è infatti stato imposto di non parlare con i media per un anno.
Per circa un lustro il governo australiano – alleato di ferro di quello statunitense, in Iraq come in Afghanistan – non ha chiesto giustizia per il suo cittadino. Poi, con l’avvicinarsi della campagna elettorale e sotto la spinta di una campagna d’opinione condotta da Terry Hicks e dall’opposizione, Howard ha alzato la voce contro Bush e così si è arrivati alla storica sentenza di venerdì.
Sono circa 390 i prigionieri che restano a Guantanamo: l’ultimo arrivo, una settimana fa, di nazionalità incerta, è stato portato nell’isola di Cuba direttamente da Mombasa, la capitale del Kenya. Era dal 2004 che non si aveva notizia di nuovi trasferimenti a Guantanamo.