61 anni dopo, fascisti a Mosca

Intendo segnalare l’editoriale apparso il 6 maggio su IL MANIFESTO e qui di seguito riportato, a firma Astrit Dakli.
Il pretesto dell’articolo pare essere lo “storico” discorso di Cheney che di fatto esplicita l’apertura di un nuovo fronte di “guerra fredda” contro la Russia, individuando con precisione il pericolo da contrastare nella decisa volontà del presidente Putin di rimettere sotto il controllo dello Stato le enormi ricchezze naturali della federazione.

Puntuale come un orologio, il giornalista “antagonista” coglie l’occasione per rincarare la dose e avanza un’opinione che finora non si era ancora fatta strada con così evidente nettezza nel panorama giornalistico italiano: la Russia è avviata sulla strada del fascismo.

Le tesi, contenute nei proclami lanciati pochi anni fa dalla potente lobby atlantica anti-russa (di cui fanno parte anche D’Alema e Amato), vengono finalmente raccolte anche da autorevoli voci della sinistra antagonista, con conseguenze per l’azione politica che è facile prevedere (con singolare tempismo anche LIBERAZIONE pubblica oggi un articolo che suona come un invito a riprendere l’offensiva delle “rivoluzioni colorate” nei confronti dell’Uzbekistan che, detto per inciso, ha recentemente cacciato i militari americani).

L’intendimento di tutte queste pressioni, a mio avviso, è chiaro. Indicare l’agenda della politica estera del prossimo governo, in continuità con le linee di “imperialismo democratico” che avevano già caratterizzato il precedente esecutivo di centro-sinistra (penetrazione ad Est, disintegrazione dello spazio post-sovietico, contenimento della Russia, subalternità alle linee strategiche dettate da Brzezinski, sostegno alle “rivoluzioni” sorosiane). Segnali come la partecipazione al convegno filo-sorosiano di Torino di esponenti autorevoli del centro-sinistra (hanno dato l’adesione, insieme a Bresso, Chiamparino e Saitta, anche consiglieri regionali del PRC) vanno certamente nella medesima direzione. Tutti noi dovremmo avere ben chiaro che nulla viene lasciato al caso.

Quanto al presunto fascismo della Russia (di cui, a parte il lavoro che viene prodotto da compagni della nostra area, da qualche esponente del PdCI e da Giulietto Chiesa, in pratica si sa poco e male), vorrei solo far notare che recentemente Putin ha proposto un “patto antifascista” per emarginare le spinte xenofobe e fascistizzanti presenti in settori della società russa. I suoi oppositori “democratici” hanno risposto unendosi alle campagne di solidarietà nei confronti del nazi-bolscevico Limonov (un autentico rudere nazista), tradotto in giudizio per le sue orribili posizioni. Tutto naturalmente in nome della “difesa dei diritti umani”, con il sostegno delle reti ONG che tanto sono care ai pannelliani e ai radicali.

Mauro Gemma

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Dick Cheney accusa il Cremlino di derive autoritarie e antidemocratiche perché «fa uso politico delle risorse energetiche» e perché, vietando alle ong americane di lavorare in Russia, «viola i diritti umani». Il vicepresidente Usa – oltre a non aver davvero titoli per predicare in materia – considera invece evidentemente normale, visto che non ne parla affatto pur avendone l’occasione su un piatto d’argento, il fatto che la Russia stia sempre più fascistizzandosi. Parola che suona antica: ma come definire altrimenti un paese in cui le più alte autorità civili e religiose autorizzano l’aggressione di squadre armate contro cittadini colpevoli solo di esistere e di essere un po’ diversi dalla maggioranza? Un paese in cui, nonostante l’onnipresenza di un imponente apparato di «tutori dell’ordine», centinaia di migliaia di persone sono costrette a nascondersi e a temere ogni giorno per la propria incolumità?
La Russia festeggia nei prossimi giorni l’anniversario della vittoria sul fascismo: ma è di ieri un rapporto di Amnesty International sul razzismo violento in questo paese, che enumera 28 persone uccise nel 2005 per il colore della propria pelle, più 366 aggredite e ferite (e il 2006 è iniziato peggio); è di questa settimana una serie di attacchi violenti e di massa contro i locali gay di Mosca e i loro avventori (con preti e suore a spalleggiare bande di energumeni rasati); così come il lancio, con gran fragore pubblicitario, di una «campagna contro le gang etniche» da parte della polizia: il bersaglio ufficiale sono le mafie caucasiche (che esistono), ma è certo che sotto tiro finiranno migliaia di persone qualsiasi e che l’«effetto traino» di questa campagna sugli skinhead razzisti sarà devastante.
Da un anno almeno opera in piena libertà, nella capitale come in diverse altre grandi città, una formazione politica che dichiara apertamente la sua volontà di «liberare la Russia dagli immigrati» e che si sa esser legata alle squadracce omicide: ora questa formazione ha ufficialmente esteso le sue sgradevoli attenzioni agli omosessuali. Le estenderebbe volentieri anche agli ebrei, ma per il momento incontra qualche problema, visto che Putin non vuol guastarsi i rapporti con Israele. Al contrario, visto che i gay non sono difesi da nessuno Stato, personaggi autorevoli come il sindaco e il metropolita di Mosca (nonché, per par condicio, il gran muftì) ne hanno apertamente incoraggiato la persecuzione, negando loro esplicitamente ogni diritto di esistenza pubblica in quanto «nocivi» alla nazione.
Non parliamo poi degli stranieri di pelle più o meno scura – africani, asiatici, caucasici – contro i quali è in corso una campagna di odio etnico senza uguali: «illegali», sono chiamati, a prescindere dal fatto che la gran maggioranza di loro sono immigrati legalissimi quando non cittadini russi a pieno titolo. E su di loro vengono riversati – dall’alto, nel più classico stile della demagogia fascistizzante – il furore e la frustrazione popolari per le durissime condizioni di vita, per il crollo delle ideologie, per la tragedia demografica che sta portando i russi etnici verso l’estinzione. Del resto anche uomini di cultura come Aleksandr Solzhenitzyn, pur condannando le «stupide aggressioni», mostrano una straordinaria comprensione per «il background da cui esse hanno origine»; più concretamente, magistrati e polizia sono pronti a derubricare sempre le accuse contro le squadracce (per esempio da «omicidio razzista» a «teppismo») mentre i media si limitano a dare brevemente notizia degli attacchi.
La Russia allora è un paese fascista? Forse non ancora. Ma sarebbe bene che a quel che sta accadendo in quel paese venisse data un po’ di seria attenzione da parte di quanti sono pronti a denunciare la non democraticità di Putin ogni volta che il Gazprom diminuisce del due per cento la pressione nelle pipelines dirette a ovest, o smette di praticare tariffe politiche agli amici degli amici; così come da parte di quanti, più vicini a noi, soddisfatti per il «muso duro» che l’uomo del Cremlino mostra a Washington, ritengono opportuno sorvolare su quel che avviene a casa sua.